Il piano di Berlusconi: due aliquote secche

Il premier: "La riforma tributaria è la prima emergenza che affronteremo". L’obiettivo è lo stesso del ’94: abbassare le tasse semplificando l’Irpef. Tremonti al lavoro: "Servono grande prudenza e grande consenso". Dieci riforme "low cost" per modernizzare l'Italia

Il piano di Berlusconi: due aliquote secche

Roma La volontà di «dare un segnale» sul fronte delle tasse è forte. Lo conferma anche il fatto che nell’intervista concessa ieri a Repubblica da Silvio Berlusconi, la «riforma tributaria» sia indicata come la prima delle «emergenze» da affrontare, una priorità che precede lo stesso capitolo istituzionale, giustizia inclusa. L’incontro tra il premier e il ministro dell’Economia di venerdì scorso si è articolato interamente attorno alle modalità per rimodulare la pressione fiscale, beneficiando le fasce più deboli. In pratica, Berlusconi ha invitato i suoi interlocutori ad attivarsi affinché entro la fine della legislatura la riforma possa effettivamente concretizzarsi.
Nel colloquio con il quotidiano diretto da Ezio Mauro, il presidente del Consiglio ha dichiarato che con Tremonti si stanno «studiando tutte le possibilità» per arrivare al sistema delle due aliquote Irpef (23% per redditi fino a 100mila euro e 33% oltre i 100mila), teorizzato sin dal 1994 e cavallo di battaglia della campagna elettorale nel 2001. Ma non ha fissato scadenze precise, salvo sottolineare che «il 2010 è l’anno in cui possiamo uscire definitivamente dalla crisi».
La chiave di lettura è questa: occorre avviare la riforma fiscale il prima possibile. E se nell’ambito del riordino delle imposte si riesce ad alleggerire un po’ il carico di imposizione dalle famiglie, soprattutto quelle meno agiate e con figli, è cosa buona e giusta. In fondo, è una vecchia idea tremontiana quella di spostare la tassazione dal lavoro e dalla produzione di ricchezza ai consumi, soprattutto quelli che danneggiano l’ambiente. Se le procedure consentissero di inviare il «segnale» in concomitanza con le Regionali, la circostanza sarebbe molto gradita. Le tasse, infatti, rappresentano un argomento che disarmerebbe l’opposizione preconcetta. Perfino Di Pietro si è dichiarato disponibile a parlarne, a dispetto del segretario del Pd Bersani che ha liquidato il tutto con un «troppi soldi verso i ricchi».
Ma c’è da confrontarsi con Tremonti che, sebbene abbia più volte ribadito che «la riforma fiscale è fondamentale», ha tuttavia evidenziato la necessità di «una grande prudenza e di un grande consenso». Il titolare del Tesoro ha accelerato i tempi e da domani i tecnici del ministero avvieranno il confronto con le parti sociali per aprire il tavolo sulla riforma in poche settimane.
La volontà dialogante di Tremonti non implica automaticamente un via libera alla spesa: la riforma fiscale con la riduzione del numero delle aliquote Irpef a due implicherebbe un minor gettito di circa 18 miliardi di euro considerato che il 99,5% dei contribuenti italiani dichiara redditi inferiori a 100mila euro. E la stabilità del gettito fiscale è uno dei fiori all’occhiello della gestione della crisi. Anche nel 2009, anno molto difficile per l’economia, le entrate fiscali sono rimaste sostanzialmente invariate (-2,4% la stima dell’Istat), a fronte di un aumento contenuto della spesa pubblica. Modificare il meccanismo significherebbe creare più deficit e più debito mettendo a rischio non solo la tenuta dei conti, ma anche la reputazione internazionale dell’Italia, che si è mantenuta a livelli ottimali negli ultimi due anni.
Di qui il comunicato stampa diffuso dal sottosegretario Paolo Bonaiuti, che ha voluto fare chiarezza e tranquillizzare l’inquilino di via XX Settembre dai timori di «assalti alla diligenza» in un Paese con 480 miliardi di titoli di Stato da emettere nel 2010 e un rapporto deficit/Pil che ha superato il 5 per cento. «Il governo non vara provvedimenti una tantum come segnali propiziatori di consensi ma interviene con provvedimenti seri, concreti e strutturali». Da un lato, ha aggiunto Bonaiuti, l’esecutivo intende mantenere «l’equilibrio fondamentale dei conti dello Stato»; dall’altro «intende disegnare un sistema che porti l’Italia alla modernità fiscale».
Per comprendere le strategie che si potrebbero adottare è utile rileggere il «Libro bianco» sulla riforma fiscale che Tremonti stilò nel 1994.

Il riordino deve passare attraverso il federalismo fiscale (riforma già realizzata e in attesa dei decreti attuativi), la cessione degli immobili pubblici agli enti locali (avviata con l’ultima Finanziaria) e la riorganizzazione delle imposte (prevista dalla legge delega del 2002 ma non ultimata). Solo su questi pilastri si può poggiare la contrazione delle aliquote per sostenere i redditi medio-bassi.

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