Un piano contro i tumori all’esofago «Educare i medici a combatterli»

L’obiettivo: creare maggiore collaborazione tra gli specialisti. «Tecnologia e meno fatalismo le armi per aiutare i malati»

Luigi Cucchi

da Milano

Oncologi, radioterapisti, chirurghi, endoscopisti, si sono riuniti a Milano per la prima volta in un consensus meeting dedicato ai tumori dell’esofago. Obiettivo: mettere a punto le linee guida nazionali, cioè il migliore standard terapeutico, per la diagnosi e la cura di queste neoplasie che colpiscono ogni anno 2300 italiani e 33mila europei, secondo l’European society for medical oncology. Negli Stati Uniti si registrano annualmente 35mila casi, con 25mila decessi. A Milano è stata ribadita la necessità di un percorso di cura integrato multi-disciplinare, che riunisca le specifiche competenze, e in grado di fornire al malato le maggiori possibilità di guarigione e di assistenza in tutte le fasi della malattia.
Il professor Alberto Luporini, responsabile dell’oncologia medica del Policlinico San Donato di Milano e tra gli organizzatori scientifici di questa giornata di studio, ha affermato che la corretta diagnosi e cura dei tumori dell’esofago dipende da uno stretto rapporto tra tutti gli specialisti. I maggiori progressi dipendono insomma dal lavoro di squadra, fondamentale anche il ruolo dei radioterapisti che con tecniche e strutture adeguate hanno un ruolo fondamentale. «Purtroppo in Italia – afferma il professor Gianpaolo Bitti, presidente dell’Associazione italiana di radioterapia – solo il 30% degli italiani con forme neoplastiche ricorre ai nostri trattamenti, contro il 50% dei pazienti europei. Manca una cultura generale anche in molti medici e le stesse infrastrutture sono in molte regioni carenti e obsolete». «L’esofago è stato per anni la cenerentola della chirurgia oncologica, vi era un certo atteggiamento fatalistico nei confronti di questa neoplasia, soprattutto perché la maggior parte dei pazienti arrivava al tavolo operatorio in uno stadio avanzato della malattia», afferma il professor Luigi Bonavina, direttore della cattedra di chirurgia generale dell’università di Milano e primario di chirurgia al Policlinico San Donato, ricordando che oggi qualcosa sta cambiando: «La chirurgia è progredita, gli interventi sono più sicuri e si sta sviluppando sempre più l’approccio multidisciplinare. Inoltre la tecnologia ha compiuto un vero salto di qualità con la laparoscopia, che ha diminuito l’aspetto traumatico e migliorato l’accuratezza degli interventi. Le nuove telecamere endoscopiche consentono interventi minuziosi e l’asportazione dei più piccoli linfonodi. I tumori all’esofago – prosegue Bonavina – possono essere oggetto di prevenzione per la maggiore frequenza di neoplasie conseguenti al reflusso gastroesofageo che modifica l’epitelio e porta poi allo sviluppo delle cellule tumorali».
Il bruciore di stomaco può essere trascurato se si manifesta dopo un’abbondante libagione e un pranzo quasi pantagruelico, ma non va mai sottostimato se ci accompagna per più giorni quasi tutte le notti. «Può essere infatti il sintomo – precisa il professor Bonavina – di una possibile irritazione che rischia nel tempo di evolversi negativamente. Occorre recarsi dal medico e verificare se è il caso di effettuare degli accertamenti. Il bruciore di stomaco, cioè la pirosi, può essere un’importante spia, non va trascurato. Con una gastroscopia si può verificare lo stato della malattia e anche intervenire con un intervento conservativo. In un articolo pubblicato sul Wall Street Journal si definisce la pirosi un autentico killer, alimentato da troppi hamburger e patatine fritte. Oggi molte malattie - ricorda Bonavina - sono il frutto dei troppi fast food, dell’obesità, della società del benessere. Per fortuna molte di queste malattie neoplastiche sono trattabili. Il tumore all’esofago, conseguenza del reflusso gastroesofageo, è un adenocarcinoma, cioè un tumore maligno, che interessa la porzione inferiore dell’esofago, vicino allo stomaco.

Si differenzia dal tumore squamo-cellulare che interessa la porzione più alta dell’esofago ed è associato a fattori di rischio come la denutrizione, l’alcol, l’eccesso di polenta calda alla base nel passato di molte popolazioni del Friuli, del Veneto e delle vallate bergamasche».

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