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«Il piano d’emergenza Usa? Solo spazzatura»

Il capo economista del gruppo giapponese Nomura: «Paulson sbaglia. E per uscire dalla crisi l’Europa deve cancellare i vincoli di Maastricht»

nostro inviato a Tokio

Il Giappone che guarda a questa crisi con un po’ di distacco e, dopo 15 anni di vacche magre, anche un pizzico di voglia di rivalsa, detta a Europa e Usa le regole per provare ad uscirne.
«Quello che vediamo in questi giorni – dice Richard C. Koo, capo economista di Nomura (il primo gruppo bancario del Paese che in questi giorni sta comprando quel che resta di Lehman) e consulente economico del premier Taro Aso – è avvenuto tale e quale 19 anni fa qui da noi. Tutto è cominciato con la bolla immobiliare scoppiata nel 1989, a cui è seguito il crollo della Borsa e dopo il credit crunch. Per uscirne ci abbiamo messo 15 anni». Il Giornale incontra Koo, cha ha studiato a Berkeley e ha lavorato con Paul Volcker alla Fed, al nono piano del Marunouchi Kitaguchi building di Tokyo, proprio quando la Borsa della capitale asiatica sta cedendo il 4 per cento.
Il piano Usa non aiuta i mercati, dunque.
«Non può funzionare perché con questo piano non c’è nessuna iniezione di capitale pubblico nelle banche, ma c’è solo la sostituzione di asset (i mutui) con cash. In Giappone la stretta del credito è stata evitata, negli anni Novanta, con l’iniezione di risorse pubbliche direttamente nel capitale delle banche, che così hanno ripreso a erogare credito. Paulson, invece, ha sbagliato due volte, con un comportamento infantile: prima ha fatto fallire Lehman, causando reazioni a catena e facendo perdere credibilità alle banche e alla vigilanza Usa. Poi ha fatto questo piano che è... spazzatura. I mercati resteranno fragili e vulnerabili».
Spazzatura?
«Sì, perché questa è una “recessione di bilancio”. Vale a dire che il crollo del mercato immobiliare ha creato a tanti un debito nel bilancio. E tutti cercano di colmarlo, utilizzando a questo fine ogni risorsa disponibile. Cioè, in queste condizioni, non conta più la massimizzazione del profitto, ma la minimizzazione dei rischi e dei debiti: chi ha del cash non lo investe, ma lo utilizza per abbassare il suo debito. E il pil si contrae, in una spirale».
Come si ferma la spirale?
«Con nuovo capitale pubblico. È quello che ha fatto Roosevelt nel ’33 e che noi abbiamo copiato negli anni Novanta. Gli americani non hanno memoria, ma è quello che dovrà fare il prossimo Presidente».
Una politica economica espansiva può passare anche dal taglio delle tasse, o dei tassi?
«No: il taglio delle tasse non serve. Il risparmio fiscale così ottenuto verrebbe di nuovo utilizzato per abbassare il debito, e saremmo da capo. E in queste condizioni anche la politica monetaria è indifferente per lo stesso motivo. Basta vedere cosa è successo mentre Bernanke ha tagliato i tassi dal 5,25 al 2% in un anno: niente di buono. Le Borse salgono per un paio di giorni, tutto lì. L’unica cosa che serve è una politica espansiva di spesa pubblica, accompagnata da incentivi fiscali mirati».
Non c’è un rischio-inflazione?
«No: le maggiori spese compensano la stretta del credito e la contrazione dei consumi che, viceversa, alimenterebbero una situazione deflazionistica».
E l’Europa?
«È sulla stessa strada. E per uscirne deve cancellare il vincolo al bilancio dello Stato imposto dai parametri del Trattato di Maastricht, debito pubblico e deficit possono aspettare. E l’Europa non è sola».
Non è sola?
«La Cina è in una situazione analoga a quella del Giappone di fine anni Ottanta: i prezzi delle case hanno iniziato a scendere prima ancora delle Olimpiadi, del 30% a Shanghai e Shenzhen».


E il Giappone? Il caso Nomura-Lehman mostra che tornerete a fare shopping?
«I recenti grandi investimenti li hanno fatti arabi e cinesi, a noi non ci avevano invitati. Ma ora loro hanno perso molti soldi, e siamo rimasti solo noi».

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