La migliore risposta al dibattito sulla crisi della politica l'ha data - ma senza volerlo - il Riformista di ieri, con un articolo di Stefano Cappellini. Il quotidiano, che è l'interprete più accreditato del dalemapensiero, ci ha spiegato i motivi che avrebbero spinto il ministro degli Esteri a prospettare uno scenario apocalittico, addirittura la possibilità di una crisi simile a quella di Tangentopoli: 1) D'Alema è pronto a entrare nella battaglia politica come leader di parte, rinunciando al ruolo «istituzionale» che si è ritagliato negli ultimi anni. 2) D'Alema ha avvisato «i rivali del suo stesso campo, a cominciare da Walter Veltroni». 3) D'Alema probabilmente comincerà piazzando «i suoi uomini in tutte le correnti». 4) «In un modo o nell'altro D'Alema cerca la conta». 5) D'Alema, con il suo intervento, ha proposto un patto al Corriere della Sera. 6) Il patto consisterebbe in un'alleanza personale con Paolo Mieli, purché il direttore del Corriere indichi in D'Alema la vera guida del centrosinistra.
Sono ipotesi, ahinoi, molto ben argomentate e assai credibili. Ahinoi perché volevamo sperare che l'uscita del ministro degli Esteri fosse davvero il frutto di una pensosa ansia sulle sorti del Paese, e non una sofisticata manovra di potere personale. E allora eccolo qui, il principale motivo della disaffezione degli italiani: la certezza che gli uomini politici - a destra e a sinistra - abbiano come primo pensiero e prima attività quello di rafforzare il proprio potere personale. A destra e a sinistra ciò che interessa davvero è chi avrà la successione di Berlusconi e chi prenderà la guida del Partito democratico. Non voglio fare la verginella sdegnata, so bene che prendere il potere è il primo, indispensabile passo per realizzare i propri programmi. Il fatto è che questi programmi o non ci sono, o sono velleitari, e senz'altro secondari, non successivi, rispetto all'occupazione del potere. Non a caso D'Alema ha posto il problema, ma non ha indicato soluzioni concrete.
Così il Parlamento legifera pochissimo, essendo il governo impegnato prima a non cadere, e poi - molto poi - a amministrare la nazione. Così, per fare un altro esempio, la riforma della Rai e del sistema televisivo sembra qualsiasi cosa tranne un'operazione intesa a migliorare il prodotto. E, a proposito di Rai, i suoi telegiornali sono il documento vivente, e morente, del perché i cittadini abbiano il rigetto della politica. Ogni giorno, su ogni tema, ci tocca sentire l'intervento dei rappresentanti di tutti - tutti - i partiti, in una processione simile a quella degli equinozi, ma ancora più prevedibile e infinitamente più misera. Accendi la tv e sai già chi dirà cosa, in posizioni immobili, ripetitive, aprioristiche.
Sul mio forum, frequentato da gente appassionata di politica, Doc ha scritto ieri sull'«incapacità di una categoria politica di interpretare i segnali e le richieste di cambiamento.
Giordano Bruno Guerri
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