Politica

Il piano dei triestini: città metropolitana per dire addio a Provincia e Comuni

Esercizio di pragmatismo in salsa triestina: vista la crisi economica, gli scandali e un’opinione pubblica che sempre più pretende una gestione della cosa pubblica sobria ed efficiente, è plausibile che la politica imbocchi davvero, prima o poi, la strada della riduzione dei costi, della semplificazione normativa e della responsabilizzazione degli amministratori. Tanto vale, però, accelerare il tutto, dare una bella svegliata ai politici e iniziare a costruirselo da soli, questo benedetto nuovo corso. Questo lo spirito con cui lunedì prossimo i membri del Comitato per l’area metropolitana della Venezia Giulia porteranno i loro banchetti nelle piazze di Trieste e comuni della provincia. Obiettivo, la raccolta di 15mila firme per una proposta di legge popolare per abolire la provincia e istituire la città metropolitana.
«La legge Calderoli del 2009 - si legge sul sito del comitato - prevede per la città metropolitana, nelle Regioni a statuto speciale, la completa autonomia fiscale, che è il vero federalismo». Ma dietro il vessillo del federalismo questa volta non c’è il Carroccio. Almeno, non ufficialmente. «Centrosinistra e centrodestra qui a Trieste hanno trovato una singolare unità di vedute - commenta Uberto Fortuna Drossi, presidente del comitato, già assessore a Trieste negli anni ‘90 e consigliere regionale con la giunta Illy -. Sono entrambi contrari al nostro progetto». Ma i leghisti, per l’appunto? «Beh, per loro un discorso a parte. Per opportunità politica non possono sostenerci pubblicamente, ma so per certo che sono dalla nostra parte».
E del resto il progetto triestino ricalca in chiave locale quello che Calderoli dall’alto del suo dicastero per la Semplificazione normativa ha in mente per l’Italia: tagli di poltrone e costi. Tra Provincia, Comune di Trieste e Comuni dell’hinterland vengono oggi eletti e stipendiati 140 consiglieri. Con la Città metropolitana questo numero calerebbe a sessanta. «Logico quindi - commenta Fortuna Drossi - che i politici locali siano contrari al progetto. Ma c’è un altro aspetto, altrettanto importante, oltre alla riduzione drastica di poltrone e costi. Con l’esclusione della sovrapposizione di competenze tra Comuni e Provincia si otterrebbe una maggiore snellezza burocratica e una maggiore responsabilizzazione degli amministratori: cadrebbe la possibilità di esibirsi nell’arte dello “scaricabarile”, perché non ci sarebbe più un altro ente pubblico parallelo cui addossare le colpe di inefficenze e disservizi».
«La provincia di Trieste - fanno sapere dal Comitato - conta, oltre al capoluogo, solo cinque piccoli Comuni. Per un decennio è stata commissariata, e nessuno se n’è accorto. Oggi è in mano alla sinistra» mentre il Comune di Trieste è in mano al centrodestra. La Città metropolitana spazzerebbe via la Provincia, mantenendo in vita i sei Comuni, però drasticamente snelliti: sparirebbero i Consigli comunali, rimarrebbero solo i sei sindaci eletti direttamente che andrebbero a formare, ciascuno con una «mini giunta» personale, la «conferenza dei sindaci», il vero e proprio organo di governo dell’area metropolitana, un territorio casa di 240mila cittadini.
Ma il progetto della Città metropolitana non è solo un viatico per l’abbattimento dei costi della politica.

Con l’assorbimento degli enti locali, la Città metropolitana otterrebbe compentenze di vera autonomia, «che Comuni e Provincia - spiega Fortuna Drossi - non possono avere: quali il demanio, i rapporti con l’Unione europea, la gestione diretta dei porti (il che farebbe anche scomparire un altro ente, l’autorità portuale ndr), il dialogo transfrontaliero, l’ottenimento di finanziamenti senza intermediari».

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