Politica

Piano-man è tedesco e non sa suonare

Tony Damascelli

Piano man era una bufala. Ciaikovskij e Chopin potrebbero chiedere i danni. Già ci stanno pensando quelli dell’ospedale, il The Little Brook di Dartford nella contea di Kent: hanno speso un bel mucchio di sterline per capire chi mai fosse quel Forrest Gump vestito di scuro, fradicio di pioggia, la biancastra camicia abbottonata fino al collo, la barbetta biondiccia reduce da una rasatura approssimativa, lo sguardo rivolto non si sa bene a chi e a che cosa, l’uomo che aveva fatto credere di essere un Arturo Benedetti Michelangeli, un Rubinstein missing nel Regno Unito. Balle, al massimo sa suonare il campanello.
Piano man è rientrato sul continente, al Paese suo, la Germania, sito dal quale era partito in Eurostar, secondo confessione dell’ultima ora, abbandonando il padre contadino e due sorelle.
Dopo quattro mesi di pensione in Inghilterra il mistero e la favola sono finiti. Lo avevano trovato sulla spiaggia dell’isola di Sheppey, il 7 di aprile. La polizia aveva scorto quell’uomo, smarrito nel vento. Non parlava, non rispondeva alle domande. Lo avevano trasferito all’ospedale di Gillingham ma qui si erano resi conto che il paziente, oltre a non essere inglese non capiva nessuna altra lingua, dallo slovacco al birmano, al bergamasco e denunciava disturbi mentali, da qui il trasloco al «Ruscello», al secolo il Little Brook, clinica psichiatrica. Qui mistery man di colpo era diventato una leggenda. Gli avevano messo sotto il naso un foglio bianco nella speranza che scrivesse le generalità e l’indirizzo. Ma aveva spiazzato gli astanti, con tratto deciso, presa la matita, aveva disegnato un pianoforte a coda, dotato di tutti gli attributi, tasti bianchi e neri, seggiolo, leggio, immagine immalinconita dal colore grigio e da un inquietante cono d’ombra. La notizia era diventata leggenda. L’uomo misterioso era il pianista senza nome; please, telefonate, scrivete, fatevi vivi, vogliamo sapere chi mai sia, da dove venga. Intanto al reverendo Alan Amos, cappellano dell’ospedale, era venuta l’idea: portiamolo in chiesa, mettiamolo davanti al pianoforte e sentiamo che accade. Da cosa nasce cosa e da cappellano, a volte, nascono cose improbabili. Infatti si incominciò a dire che Piano man era un pianista che incantava con la sua arte di musicista, stava ore e ore a suonare, affascinando chi lo stesse ascoltando. I medici si affannarono a spiegare l’evento, segnatevi ora le coordinate: dottoressa Judith Gould: «Dovrebbe trattarsi di un artista affetto da autismo», professor Stephen Laurie: «Questa sindrome catatonica fa pensare alla schizofrenia o all’autismo, con la dimostrazione di un talento specifico per la musica»; assistente sociale Michael Camp: «Se mi avvicino a lui di un solo metro diventa ansioso». Intanto il pianista muto continuava a non dare segnali di ripresa.
Venerdì scorso, dopo quattro mesi di vitto, alloggio e cure, tutto compreso, Piano man ha aperto bocca. Un’infermiera è entrata nella sua stanza e gli ha rivolto la domanda scontata: «Allora non ha voglia di parlare oggi?». «Yes, I think I will», sì, parliamone, ha replicato il falso artista. L’infermiera è sbiancata come il camice da lei medesima indossato, sono accorsi medici e altri ancora, Piano man ha cambiato musica: ha detto di essere tedesco, di essere figlio di un contadino, di avere due sorelle, di essere salito su un Eurostar, di avere raggiunto l’Inghilterra e poi quella spiaggia dove aveva pensato al suicidio prima che spuntassero i bobbies. E che, soprattutto, non sa affatto suonare il piano. Fine della leggenda, fine degli articoli romantici, «bariccati», il pianista ha confessato ma la vera confessione è arrivata dal reverendo Alan Amos: macché Chopin, macché Ciaikovskij, Piano man per quattro mesi ha martellato su un solo tasto, sempre la stessa nota, non altro, nessuna aria classica, nessun Lago dei cigni, nessuna per Elisa. Il disegno era l’opera di uno che ci sapeva fare con la matita, un tedesco furbo, uno psichiatra inviato speciale da se stesso per registrare le reazioni altrui, un infiltrato, un impostore. Non si conoscono ancora le generalità del pianista farlocco, la privacy innanzitutto. Le indagini proseguono. Riterrei tuttavia opportuno analizzare a fondo il reverendo e l’équipe medica del Kent.

Di sicuro non si intendono di musica.
Tony Damascelli

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