Elezioni Amministrative 2011

Il piano della Moratti: ecco le sei mosse per il controribaltone

La sinistra non è cresciuta, il suo candidato nel 2006 ha avuto più voti. Dunque dovrà recuperare gli astenuti e chi ha scelto il Terzo Polo

Il piano della Moratti: ecco le sei mosse per il controribaltone

Milano - Le chance dei moderati sono nei numeri e in un pacchetto di mosse. Sei punti in vista dei supplementari in cui a fine mese si deciderà il nome del nuovo sindaco. Sei mosse per il controsorpasso. Giuliano Pisapia pare a un passo dalla vittoria, ma le cifre dicono che i voti raccolti dall’avvocato sono più o meno gli stessi (a fronte di un serbatoio di elettori leggermente inferiore) catturati nel 2006 da Bruno Ferrante. Anzi, qualcosa in meno: 319.487 per l’ex prefetto contro i 315.862 del penalista. Pisapia ha allargato, sfruttando gli errori dell’avversario, i territori della sinistra ma quei confini non possono essere spostati all’infinito.
La Moratti deve recuperare i voti dei moderati che per una ragione o per l’altra sono andati all’avversario, si sono fermati al candidato del Terzo polo Manfredi Palmeri, (autore di una buona performance al 5,5 per cento con 36.471 voti), sono rimasti a casa. Dunque, va intercettata quell’area che si è lasciata tentare da Pisapia, ha scommesso sulla novità Palmeri o si è astenuta. Un’area assai estesa, un’area che storicamente appartiene al bacino moderato.
Lo si capisce, paradossalmente, da una battuta circolata fra gli increduli dirigenti del Pd: «Abbiamo avuto in regalo un partito vicino al 30 per cento e non sappiamo chi ringraziare». Il Pd a Milano è salito rispetto alle regionali del 2010 di due punti e mezzo; quello del Pdl è apparentemente un tracollo dal 36 al 28,7 per cento, ma un anno fa non c’era Fli e oggi ci sono, assai robuste, le liste collegate. Dunque, la caduta è attutita e viene valutata in non più di due punti percentuali. Grave è invece la flessione della Lega che tutti davano in crescita: partita dal 14 precipita sotto il 10 per cento.
La parola d’ordine, dunque, è rassicurare i moderati. Convincere chi è rimasto a casa allo sforzo della gita al seggio. Certo, la destra non ha una tradizione in tal senso, ma per risalire la china non esistono alternative.
Sei mosse, dunque, strettamente legate per riprendere almeno una parte di quel popolo che deluso, oppure infastidito dai toni troppo urlati della campagna elettorale, oppure convinto che profanare il sistema Milano fosse impossibile, ha votato in ordine sparso. E si è aperto a ventaglio. Ora quel popolo potrebbe tornare all’ovile. Sei mosse, dunque, per il controsorpasso. Anzitutto, rinsaldare l’asse con la Lega, che pure è in difficoltà, e non rinfocolare le polemiche, ma anzi fare un passo in avanti, magari offrendo la poltrona di vicesindaco a un leghista giovane e popolare come Matteo Salvini. Poi provare a correggere gli errori delle ultime settimane - in particolare il faccia a faccia boomerang negli studi di Sky - riproponendo il modello Moratti-Milano-Formigoni a chi si è astenuto o a chi è passato dall’altra parte. Se Pisapia ha più o meno eguagliato Ferrante, la Moratti del 2011 è dietro, terribilmente indietro, rispetto alla Moratti del 2006: 273.401 voti contro i 353.410 del 2006. Ottantamila consensi volatilizzati che, almeno in parte, possono essere ricalamitati.
Naturalmente questi dati, il tonfo di donna Letizia e il ruzzolone della Lega, verranno pesati fra Arcore, via Bellerio e Roma. La Moratti potrà controllare solo il lato milanese dei problemi, perché la tenuta del governo dipende dalla tenuta del rapporto Bossi-Berlusconi. E perché da più parti già si prova a leggere il responso delle urne come la certificazione del sempre imminente e mai attuale declino berlusconiano. Già si parla di resa dei conti e torna ad aleggiare lo spettro della crisi, o peggio, del governo tecnico con il Quirinale nelle vesti di commissario straordinario. Ma queste sono le fibrillazioni della politica.
La Moratti deve badare al sodo, deve usare un linguaggio chiaro e positivo, deve sintonizzarsi sugli umori di una città che non ama gli estremismi e guarda la realtà dal cannocchiale infallibile del realismo. Il capoluogo della Lombardia che dall’alto del Pirellone Roberto Formigoni amministra da sedici anni. La Moratti rilancerà: «Io rappresento l’anima moderata del profilo ambrosiano, non Pisapia che in gioventù è stato un estremista e fino al ’98 aveva casa in un partito che vuole rifondare il comunismo».
Un discorso che ha più interlocutori, compresi gli elettori del Terzo polo, un centauro che ha la testa rivolta verso il lato sinistro dell’emiciclo e il corpo a destra. La Moratti deve parlare al corpo, ai 36mila che hanno scelto Palmeri e non hanno nessuna intenzione di avventurarsi dall’altra parte. E tocca al sindaco ricordare quel che è stato fatto, o iniziato, in questi cinque anni. Milano è di nuovo in movimento: metropolitane, parchi, musei, l’Expo (sia pure fra alti e bassi), il blocco delle tasse che altrove salgono come un ascensore.

È la collana delle opere pubbliche che fra due settimane Milano potrebbe sfilarsi e buttare alle ortiche.

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