Un piano di rivolta studiato per mesi

Teneva sermoni a Milano l’imam che a Copenaghen ha scatenato la protesta contro le vignette satiriche

La furiosa reazione del mondo islamico alle vignette su Maometto non è scoppiata per caso. Tutto ha inizio da un imam che vuol dimostrare di essere aperto al dialogo con l’Occidente, ma nasconde un passato da propagandista della guerra santa. Sulla sessantina, si chiama Ahmed Abdel Rahman Abu Laban ed è di origini palestinesi. Negli anni Novanta teneva sermoni in viale Jenner a Milano, dove si annidava una cellula terrorista scoperta dalla Digos e manteneva contatti con i pezzi grossi del radicalismo egiziano, tra cui Ayman al Zawahiri il futuro numero due di Al Qaida. Abu Laban vive da una dozzina d’anni in Danimarca, dove viene invitato ai talk show tv e si confronta con gli esponenti del governo di Copenaghen sui problemi dell’immigrazione islamica. L’impressione è che sia riuscito a far dimenticare la sua vena fondamentalista dura e pura fino allo scorso settembre, quando il giornale danese Jyllands-Posten pubblica le dodici vignette sul profeta Maometto.
Il governo danese fa spallucce appellandosi alla libertà d’espressione e Abu Laban ritrova il fervore di un tempo. Il 18 novembre il sito IslamOnline.net pubblica il piano di battaglia dell’indignata comunità islamica danese, preparato da Abu Laban. «Vogliamo internazionalizzare la vicenda, così il governo danese si accorgerà che le vignette insultano l’intero mondo islamico», spiega l’imam palestinese. Una delegazione guidata da Abu Laban compie a dicembre un tour in Medio Oriente per denunciare l’oltraggio. Al Cairo incontra i vertici della Lega araba e viene ricevuta dal grande imam Mohammad Sayyed Tantawi, dell’università Al Azhar. Non pago Abu Laban e i suoi si recano in Arabia Saudita e Qatar, dallo sceicco Yusuf Qaradawi, star di un programma su Al Jazeera, la tv che non perde occasione per allargare il solco fra Islam e Occidente. Ancora più grave è il fatto che assieme alle dodici vignette, pubblicate in settembre, ne appaiono altre tre - messe in rete e che non hanno nulla a che fare con il giornale danese - che raffigurano Maometto in maniera ritenuta intollerabile dai musulmani.
La zizzania è stata ampiamente seminata e in gennaio, quando altri giornali europei ripubblicano la satira sul profeta, le piazze musulmane esplodono. A parte Il Foglio di ieri nessuno si chiede chi sia veramente Abu Laban. L’imam palestinese non è l’unico fondamentalista ad aver trovato rifugio in Danimarca. Nel 1991 venne concesso asilo anche ad Ayman Al Zawahiri, il futuro braccio destro di Osama bin Laden. Copenaghen diventa il quartier generale in Europa della Jamaat Islamyah, un’organizzazione terroristica egiziana. Assieme ad al Zawahiri arriva Talaal Fouad Kassem, che si definiva portavoce dell’organizzazione.
Documenti dell’intelligence danese dimostrano che i due stampavano un bollettino dei mujaheddin, che veniva tradotto e distribuito da Abu Laban. Quest’ultimo negli anni Novanta, secondo fonti dell’antiterrorismo, ha tenuto conferenze nel centro islamico di Viale Jenner a Milano propagandando la guerra santa contro gli infedeli. Gli aveva aperto la strada Kassem, sodale di Al Zawahiri. Il centro era in mano di Anwar Shaban, il referente in Italia di Jamaat islamyah, uno dei primi accusati di terrorismo nel nostro Paese: fece perdere le sue tracce andando a combattere contro i serbi in Bosnia.
Abu Laban invitò in Danimarca lo sceicco cieco Omar Abdul Rahman, che ora sconta una lunga pena negli Stati Uniti per il primo attentato alle Torri gemelle del 1993. In seguito si rifiutò di condannare il terrorismo stragista in Algeria e fu molto tiepido in occasione dell’11 settembre. Poi cominciò a diventare moderato, rifiutando a parole la violenza, ma condannando con durezza le «provocazioni» nei confronti dell’Islam, come il cortometraggio «Submission» del regista olandese Theo van Gogh ucciso da un fanatico musulmano. «Perché l’islam non viene rispettato? Perché sulla terra ci deve essere un Van Gogh che provoca i musulmani fino all’estremo?», si è chiesto l’imam.


Ora Abu Laban sembra rendersi conto di avere provocato una reazione pericolosa ed incontrollabile e comincia a fare marcia indietro. «Avevamo sempre detto che le vignette avrebbero provocato la rabbia dei musulmani, ma non pensavamo ­ ha sostenuto due giorni fa ­ che si potesse arrivare a questo punto».

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