Piantare un giardino per coltivare se stessi

La letteratura sui giardini, copiosa e illustre, nasce già nei secoli antichi e implica una filosofia, o meglio tante e diverse visioni della vita, a seconda del giardino proposto. Ideare e costruire un giardino è un’impresa che, se non proprio una concezione del mondo, tradisce almeno un gusto, un carattere: quelli del suo inventore. E di gusti e caratteri forniscono oggi una estesa campionatura le ventinove Storie di insospettabili giardinieri di Delfina Rattazzi (Cairo, pagg. 174, euro 13). «Insospettabili», i personaggi di cui si narra, come giardinieri: che tali, insomma, s’improvvisano per una molteplicità di motivi, dal piacere di esibirsi eccentrici, all’estrosa passione del collezionismo; dal bisogno di consolarsi «in natura» di qualche bene o privilegio perduto altrove, al cercare, lavorando un orto, un frutteto - ci si provano i ghettizzati, i prigionieri di guerra, i detenuti comuni -, un’ariosa ragione di sopravvivenza.
La Rattazzi dispone e decifra vicende che risultano ora lievi (e magari capricciose) ora drammatiche e cupe nel rapporto che il giardino ha con la biografia del suo «insospettato» promotore e custode. Ed ecco le figure tratte dal grembo delle storie politiche, a esempio il presidente americano Thomas Jefferson, tenace coltivatore di capperi, o Giuseppina Beauharnais, infelice moglie di Napoleone; gli scrittori di talento, da Chateaubriand a Stevenson e alla Dickinson, da Hesse alla Blixen, da D. H. Lawrence a Saint-Exupéry; ma poi anche gli innovatori geniali: da Charles Darwin, caparbio ibridatore di piante, a Walt Disney e a Yves Saint-Laurent; nonché i protagonisti della nostra epoca, da Nelson Mandela al Dalai Lama; e, ad aggiornare il quadro, divi come Catherine Deneuve, che nelle campagne di Normandia ritrova l’infanzia, o Sting, che si destreggia nella sua tenuta in Valdarno... Effetti d’involontario umorismo per eccesso provoca lo spettacolo della Lotusland californiana di Ganna Walska, la miliardaria dai sei mariti; mentre Georgia O’Keeffe, la famosa pittrice americana, col giardino da lei creato nel deserto del New Mexico, incarna una delle sfide insite nel concetto di giardino. Perché è difficile che gli ospiti di questa «galleria» vivano il giardino, il parco, il podere come un hobby. No, c’è una scommessa dietro l’impegno di questi «giardinaggi», assolto di norma lontano dai centri abitati (però la Malmaison, paradiso botanico della ripudiata sposa del Bonaparte, sorge ormai alla periferia di Parigi; e nei pressi della metropoli era la «Valle dei Lupi» di Chateaubriand, oggi perduta).
Una gran voglia di trasportare e trapiantare, dall’esotico al domestico e viceversa, ci squaderna il repertorio della Rattazzi. Antologia di frustrazioni ed esaltazioni, ovviamente coloratissima per serbarsi fedele al pittoresco degli scenari, tra le smanie di (pre)potenza, che l’uomo esercita anche in spregio ai dettami della natura, e un crescente avviso che virtù e bellezza vanno riconosciute perfino alle specie neglette, a cominciare dalle «erbacce».
Dicevo della distanza che l’impresa di un giardino o di un orto è solita prendersi dall’affollato cuore delle città. Ma i più bei capitoli di questo libro ci trattengono dentro le mura urbane. È dove racconta degli «orti di guerra», incredibilmente fertili e viatico di speranza in tempi bui. O dove rammenta come resero fecondo il loro forzato habitat gli ebrei reclusi nei ghetti di Varsavia, di Lodz. L’analogo seppero fare i prigionieri di guerra, di qualsiasi guerra e nazionalità. Un postulato costruttivo, certo, è all’origine di questa galleria di ambiziosi e volonterosi: dunque vi ha il suo posto legittimo l’impegno (condiviso dalla Rattazzi) di avviare i detenuti, ieri quelli di San Vittore, oggi quelli di Bollate, a realizzare e gestire una cooperativa di agricoltura biologica. Registro fitto di trasferte esotiche, di arrischiate esposizioni al sole, alle acque e ai venti di paesi talvolta insicuri, l’antologia si conclude però in un giardinetto pubblico milanese, zona Sant’Ambrogio, ben noto agli studenti della Cattolica.

Caso unico, a prendersene cura è una coppia di privati, che lo hanno dedicato al loro figlio, morto diciassettenne in un incidente stradale. In tal modo al giardino si restituisce uno dei ruoli più delicati, quello che ne fa anche il «luogo della memoria».

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