Economia

Piazza Affari, torna la dividendo-mania

«Aumentano i rendimenti ma manca una visione di lungo periodo»

Massimo Restelli

da Milano

Casse piene di denaro ma poche possibilità di impiegarlo per fare crescere il business della propria società. C’è anche questo paradosso dietro alla promessa di aumentare il dividendo che in queste settimane sta rimbalzando tra i maggiori gruppi di Piazza Affari. La tendenza prosegue da almeno un decennio (dal ’95 al 2004 l’importo complessivamente distribuito dalle società quotate è esploso da 4,3 a 22,7 miliardi) ma dai recenti incontri con la comunità finanziaria emerge la sensazione che tale «vena di generosità» si stia allargando. Un filo rosso che unisce le scelte di Enel e Telecom, Mediolanum ed Edison fino arrivare, ed è decisione di ieri, alla cedola straordinaria di Toro (0,45 euro) e Sirti (0,2 euro), circa il quale il Giornale ha interpellato alcune case di analisi.
Superando l’inevitabile soddisfazione degli investitori di puntare su azioni che assomigliano sempre più a delle obbligazioni (nel 2004 incassare la cedola ha assicurato un rendimento medio lordo del 4,5%), dietro a questa assimilazione di Piazza Affari a un «grande bancomat» emergono problemi strutturali legati sia all’evoluzione di settori come quello elettrico sia alla formula finanziaria con cui sono state portate a termine le grandi scalate degli ultimi anni.
Scorrendo la lista degli ex monopolisti dell’energia, come Enel o Eni, è infatti facile verificare come la febbre delle «grandi acquisizioni si sia momentaneamente arrestata» spiega il responsabile di Mediobanca Securities, Lorenzo Colucci, invitando a tenere in considerazione sia l’incertezza del quadro normativo sia quella «politica» dovuta all’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale.
Vista la difficoltà di guardare al lungo periodo è «inevitabile che le società si liberino delle risorse in eccesso così da ottimizzare la propria situazione finanziaria», prosegue l’esperto di Piazzetta Cuccia ricordando come gli importanti investimenti strutturali di alcuni gruppi siano abbondantemente ripagati dalla generazione di cassa. Diversa la storia di Telecom dove, spiega l’analista di una Sim milanese, il problema «dell’indebitamento e della gestione dei dividendi è più legato alla proprietà» a causa dello stesso schema con cui nel 2001 Marco Tronchetti Provera è subentrato con la holding Olimpia alla gestione di Roberto Colaninno. Esigenze di rafforzamento della catena di controllo comuni ad «altri industriali come Premafin-Fonsai» e al business bancario da sempre sensibile ai dettami delle fondazioni azioniste. Esempio di stretto legame di indirizzo è quello del Monte dei Paschi con l’Ente guidato da Giuseppe Mussari ma rendimenti elevati sono assicurati anche da titoli come Intesa (5,7%) o Unicredit (4,5%), pur impegnata nella fusione con la tedesca Hvb.
Non sfugge alla moda il gruppo De Agostini che si sta ripagando l’acquisizione di Toro in brevissimo tempo: «È uno schema rodato dal management che rinuncia a sviluppare la compagnia assicurativa per linee esterne ma affianca un’attività anticiclica al tradizionale business editoriale», conclude il numero uno di Mediobanca Securities evidenziando come tuttavia sul mercato non ci sia una grande caccia ai titoli generosi.

Che per contro «si trasformerebbero in un rifugio nel caso i listini tornino a virare al ribasso davanti al riaffacciarsi di problemi di inflazione o dell’economia mondiale.

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