Piazza Duomo, gli intellettuali sognano un salotto

Gaia Cesare

Basta col bivacco, stop ai maxischermi e spazio al rispetto dell’estetica e del valore di piazza del Duomo, perché ritorni il salotto dei milanesi, l’anima della città, vissuta come succede a Venezia e a Trieste. La polemica scatenata da Vittorio Sgarbi accende le reazioni del mondo della cultura e dello spettacolo milanese. E trova alcuni fra i suoi più autorevoli esponenti in contrasto con l’idea di piazza sacra, che non dovrebbe ospitare più «manifestazioni pagane» dai concerti rock ai maxischermi, dai comizi politici alle piste di pattinaggio.
Davide Rampello, presidente della Triennale e Micaela Goren Monti, presidente di zona 1, rivendicano, al contrario, la piazza per i cittadini. Più complessa la posizione di Andrée Ruth Shammah, direttore artistico del Franco Parenti e - a detta di Sgarbi - ispiratrice della recente uscita dell’assessore. La Shammah appoggia in pieno l’assessore sullo «stop alla politica dei maxischermi», ma chiede anche lei di riportare i milanesi in Duomo, e non solo con la musica sacra.
Tutti d’accordo, insomma, sulla necessità di avvicinare i cittadini - che non la frequentano né la considerano un punto di ritrovo - nel cuore di Milano, come osservava già venerdì il direttore della Veneranda Fabbrica del Duomo, Benigno Morlin Visconti.
«Sono anni che non do appuntamento a un amico in piazza del Duomo - osserva Davide Rampello, presidente della Triennale - mentre la piazza dovrebbe ritornare nella coscienza dei milanesi, proprio come piazza San Marco è per i veneziani. Tavoli all’aperto dove trascorrere ore piacevoli tra un caffè e due chiacchiere con un amico, un buon concerto di musica, spettacoli teatrali, reading di poesia. La cultura e ciò che ha un alto valore estetico sono importanti per valorizzare la piazza e riportarla alla mente e al cuore di cittadini. Non importa il genere di musica che viene suonato, - sostiene, rispondendo all’idea “sgarbiana” di destinare la piazza solo alla musica sacra. Sacro, per me, è tutto ciò che è bello, che ha un valore estetico». La cultura invada il simbolo della vita meneghina, di giorno, magari il sabato e la domenica, e anche la sera, questo sembra essere il motto di Davide Rampello. Visione che si sposa con la proposta dell’assessore Sgarbi di tenere aperti i musei fino a tardi. «Sarebbe stupendo - rilancia il presidente della Triennale - prendere l’aperitivo in piazza ascoltando del buon jazz, per poi andare a vedere la mostra a palazzo Reale».
«Milano non è come piazza San Pietro - ribatte Micaela Goren Monti, presidente di zona 1 - e la sua storia non esprime la stessa sacralità del centro mondiale della cristianità. I milanesi stessi potrebbero non riconoscersi in una visione di piazza Duomo come “cuore religioso”. Piazza Duomo - continua - è da sempre il cuore palpitante di una città operosa, multietnica, commerciale. Non espropriamo, dunque, i milanesi della loro piazza».
«Non vogliamo più assistere al bivacco degli ultimi anni - dice Andrée Ruth Shammah, direttore artistico del teatro Parenti - e questo non vuol dire che vogliamo un centro disabitato. Ma basta con l’abuso di via Dante e Piazza dei Mercanti, è un massacro. L’attuale politica non ha avvicinato la gente alla piazza ma l’ha allontanata. Anche perché spesso, durante le esibizioni o i concerti, si è usata un’estetica irrispettosa».

I modelli da prendere ad esempio? «Io direi Trieste, piazza Unità d’Italia, salotto della città, cuore pulsante in cui ci si ferma a fare due chiacchiere, si beve un caffè con gli amici e non si fugge via verso altri lidi. Ritrovare il sentimento, insomma». Senza dimenticare la periferia, insiste la Shammah: «Perché bisogna portare la gente in grandi spazi che non è abituata a frequentare, ma senza mai spopolare il centro».

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