In piazza Matteotti con l’«altra» gioventù

In piazza Matteotti con l’«altra» gioventù

(...) il mio «protocollo» è saltato rapidamente. E in pochi minuti sono tornato ad essere un «Papa boy». Perché, per chi ci crede, era impossibile non farsi coinvolgere.
Ma non dal Papa e dalle sue parole, riflessive e commoventi, quanto dai volti gioiosi e sereni di quei cinquemila giovani che gremivano la piazza. Perché, vi assicuro, quella piazza era piena, riempita dai cuori di questi ragazzi. Sono arrivato di buon mattino perché questo appuntamento lo volevo seguire dall’inizio. L’arrivo del Papa era previsto per le 11, ma già alle 8.30 in quella piazza io c’ero e, con me, si erano radunati in centinaia: zaini e impermeabili sopra jeans e maglietta, poi c’erano gli scout in divisa e qua e là qualche religioso. Alle lodi ha fatto seguito una mattina da discochurch: canti, balli e divertimento puro alle 9 della domenica. Quando solitamente a questa età si sta a dormire per recuperare dalla lunga notte del sabato sera. I canti della Messa, magari quelli che nelle nostre chiese sentiamo suonati da organi stonati e trascinati dalle voci delle assemblee, erano recuperati con ritmi differenti: un po’ rock, a volte in stile disco, anche rap. Così, per farli giovani.
Un entusiasmo marcato non per vedere Vasco Rossi o Bruce Springsteen, non per attendere i gol di Cassano o Borriello ma per aspettare Joseph Ratzinger: non un atleta, non un artista, non uno che ha fatto il Grande Fratello. È stato così affascinante ed emozionante da subito. E più passava il tempo e più quella piazza si riempiva. Da Sampierdarena sono arrivati in corteo: in duecento under 30 del vicariato si sono dati appuntamento fuori dalla parrocchia per arrivare fino in piazza a piedi. Di questo corteo nei giorni scorsi nessuno ha parlato sui giornali o in tv. Eppure del pride laico (la partecipazione numerica è stata simile), si è detto a dismisura. Solo che i ragazzi di «Sampie» erano una goccia nel mare. Nel mare di fazzoletti, bandiere, striscioni che hanno cominciato a sventolare quando la Papamobile è spuntata da via di Porta Soprana per raggiungere ed attraversare la piazza. Momento tanto esaltante che avrei voluto snodare quella cravatta che mi stringeva il collo, smettere gli abiti d’ordinanza e stare in mezzo ai «Papaboys» per fare festa con loro. In fondo quella festa l’ho fatta comunque. Non me ne voglia il mio caporedattore, ma nonostante fossi lontano dai miei amici in piazza, nella zona riservata alla stampa, non sono riuscito a non cantare o a non applaudire all’arrivo del Santo Padre. Ma quella voce in più e quell’applauso, più che al Pontefice, erano un’ulteriore spinta a quella piazza che ha fatto commuovere fedeli e non. Avevo vicino una collega di un’altra testata. Non praticante e spesso critica nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche. Eppure l’ho vista commuoversi, piangere, vedendo tanto genuino entusiasmo.
Toccante, momento indimenticabile che solo raccontarlo mi fa bagnare il viso dalle lacrime, perché sono emozioni che non passeranno mai. Commovente come le parole del Santo Padre ai giovani e al limite ai loro sogni sul futuro dettate dalle tante incertezze della vita: la precarietà del lavoro su tutto. Scusate la presunzione ma chi era in piazza domenica mattina una marcia in più nell’affrontare i problemi della vita deve averla di sicuro. Basta guardare questi ragazzi negli occhi e vedere i loro volti sereni e contrapporli a quelli tirati e infelici di chi il giorno prima sfilava per Genova.
E cosa dire di domenica pomeriggio? Asciugatomi dalle lacrime e dalla pioggia del mattino, mi sono dovuto commuovere di nuovo difronte a quella moltitudine di persone che hanno affollato la Vittoria. Ho girato intorno alla piazza fino a pochi minuti prima della Messa. Quante persone ho visto in viale Brigate Partigiane, nei giardini di Brignole o ancora in via XX non riuscire neanche a raggiungere i maxi schermi per seguire almeno da lì la celebrazione. Quante bandiere, quanta solidarietà, quanta compostezza.

Tutto in una volta, tutto a Genova dove, tradizionalmente, i grandi eventi si trasformano in fatti di cronaca. Per un giorno mi è sembrato di vivere non in questa epoca, dove il rispetto per il prossimo e i valori sono stati d’animo dimenticati. Per un giorno non mi sembrava neanche di essere a Genova.

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