Piccola fenomenologia del ceto medio

Il ceto medio riflessivo è la parte sana del Paese.
Legge Repubblica e va a teatro a vedere Dario Fo.
Legge anche l’Economist, ma solo quando c’è un bell’articolo contro il governo italiano. Vive in una villetta fuori Milano o in un appartamento in Corso Vercelli e appende fuori dal balcone la bandiera della pace.
Il ceto medio riflessivo non è convinto che la carne e le medicine siano proprio necessarie. Si cura con l’omeopatia, l’agopuntura e lo shiatzu. Ha un figlio che fa il Master in America ma odia gli americani per la loro politica sanitaria e per la politica estera. Il ceto medio riflessivo è consapevole che l’immigrazione è una grande risorsa per il Paese, adora l’arredamento etnico, la cucina multietnica e non paga i contributi alla colf filippina.
Il ceto medio riflessivo frequenta le Mostre d’Arte, ma solo se vengono organizzate alla Biennale o alla Triennale. Adora tutto il Post-, il Neo- e i materiali poveri. L’importante è che non si capisca subito troppo facilmente quello che c’è dipinto sul quadro.
Il ceto medio riflessivo è molto preoccupato per i continui attacchi alla indipendenza della magistratura e per la stagnazione economica. Quest’anno è indeciso se fare le vacanze a Formentera, a Capoverde o a Santo Domingo. Per Natale gli hanno regalato lo schermo piatto.
Il ceto medio riflessivo ha una cultura medio alta. Legge Tabucchi, Pennac, Maggiani, Dacia Maraini e Stefano Benni. Non guarda mai la televisione. Tranne il Tg3.
Al cinema non si perde l’ultimo film coreano fresco vincitore del Festival di Berlino, quello che meno dialoghi ci sono e più è intelligente. Emozionante. E pieno di riferimenti. Mica come quelle schifezze hollywoodiane. Il ceto medio riflessivo è democratico, antifascista, laico e progressista.


Ma, soprattutto, è indignato.

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