La piccola patria di Leonardo e dei suoi allievi

Il teatro fatto rinascere, contrada Noce e la scuola elementare dove insegnava

La piccola patria di Leonardo e dei suoi allievi

Racalmuto. Ogni passo un ricordo di Leonardo Sciascia, il maestro di Racalmuto, cittadina in provincia di Agrigento. C'è la sua statua, a grandezza naturale, sul marciapiede del corso dove passeggiava dopo essere stato al circolo. C'è il prestigioso teatro Regina Margherita, un gioiello tornato a splendere grazie al suo aiuto. Lo scrittore ne era un frequentatore, anche nell'epoca in cui la sala era diventata cinematografica. C'è una pagina della novella La zia d'America dove si raccontano le due ore del film trascorse a sputare «a ondate» dal loggione alla platea, con altri ragazzacci, pronti anche a sottolineare le scene d'amore con «quel rumore di succhiare lumache» a imitazione dei baci. Il teatro ebbe un momento di crisi, durante la quale il palco era occupato dalle galline. Si dice che Giuseppe Tornatore, nel capolavoro Nuovo Cinema Paradiso, abbia attinto in pari misura ai propri ricordi e a quelli di Sciascia. Fu comunque Sciascia a rimettere il Regina Margherita al centro dell'attenzione scegliendo il teatro per presentare un libro negli anni Ottanta.

Appena fuori Racalmuto, settemila abitanti, uno dei tanti paesi italiani in doloroso calo demografico, c'è la campagna di Sciascia, in contrada Noce. In cima a una collina ci sono tre edifici. Uno, antico e modesto, in cui fu scritto Il giorno della civetta. Uno, antico e utile, occupato dal forno. Uno, risalente agli anni Settanta, costruito per volontà di Sciascia. Non aveva avuto richieste particolari da rivolgere all'architetto. D'altronde, ovunque lo si giri, lo sguardo incontra campi e colline di struggente bellezza. Non è difficile innamorarsi di un luogo simile, soprattutto se ci nasci. Però Sciascia volle lo studio con le finestre affacciate in direzione del mare. Forse per godere al massimo della luce che proviene da quella parte: il cielo di Sicilia è speciale. Sul retro, c'è una terrazza da cui si domina la valle. Il marrone, in ogni sua sfumatura, il grigio e il verde riempiono gli occhi. La sabbia, la pietra, le vigne.

Sciascia scriveva dalle sette alle dieci e mezzo di mattina. Poi riceveva. A Racalmuto capitava di incontrare Marco Pannella o editori o artisti. Andavano a udienza da Sciascia. Sotto la proprietà dello scrittore, c'erano (e ci sono ancora) le case degli amici: il giornalista Aldo Scimè e Nico Patito, «contadino filosofo». Più giù ancora, l'unico edificio dove ci fosse il telefono. Alle 17 suonava, spesso era la redazione di un giornale a cui il maestro dettava l'articolo dopo aver preso accordi in mattinata.

Nella scuola di Racalmuto hanno ricostruito la classe delle elementari dove Sciascia insegnò negli anni Cinquanta. Oggi l'istituto è intitolato proprio allo scrittore. Gaspare Spalanca, allievo del maestro, ci accompagna nella visita e si siede nel banco che occupava all'epoca. Tutto è stato conservato. Lavagna, cattedra, libri. Ci sono i quaderni. I registri di classe compilati da Sciascia. Le pagelle dello Sciascia studente. Spalanca racconta al Giornale: «Era una persona riservata, mai severa, in anni dove la benevolenza del professore non era scontata. Era di una sensibilità rara e contagiosa». Come la dimostrava? «C'era tanta povertà a Racalmuto. Prima di iniziare la lezione chiedeva a tutti se avessero fatto colazione. Poi ordinava il caffè, latte e qualcosa da mangiare per chi a casa non aveva avuto nulla. Senza fare scene, come fosse normale, un dato di fatto a cui non si doveva dare peso. Ma ce l'aveva un peso, dopo lo abbiamo capito». Trattava tutti allo stesso modo? «Certamente. Era sempre attento a dare un regalino a ogni allievo, una caramella, un giocattolino, un complimento... Nessuno era dimenticato». Insegnava anche religione? «Sì. Io non so se sia vero che Sciascia era ateo. Forse conveniva dipingerlo così o si dava per scontato per via delle sue idee politiche. Ma io ricordo un insegnante rigoroso e capace di trasmettere il senso del sacro». Siete rimasti amici, dopo gli anni scolastici? «Quando era a Racalmuto si fermava volentieri a chiacchierare con me e con gli altri ex alunni». Come vi rivolgevate a Sciascia? «A scuola, lo chiamavamo professore. Dopo, io ho preso a chiamarlo maestro. Lo considero un maestro di vita, al di là dell'insegnamento. L'attenzione verso il prossimo andava di pari passo con un'estrema curiosità verso ogni aspetto della cultura e della società.

Questa è la sua lezione, per me, per tutti, credo».

La tomba di Sciascia, nel cimitero di Racalmuto, è una sepoltura laica, semplice, pulita, una lastra bianca in mezzo a un piccolo prato. A volte la grandezza si intuisce dalla umiltà.

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