Si chiama Lucio Garbo. Su Internet, per prenderlo in giro, hanno scritto che è figlio di Lucio Flauto e di Greta Garbo. Del primo, morto nel 1989, qualcuno ricorda ancora Il pomofiore che conduceva negli Anni 70 su Antenna 3 Lombardia e la sua voce di speaker nell’unico concerto tenuto all’aperto dai Beatles in Italia. Della seconda, la Divina, non serve dir nulla. Due involontari complimenti per il padovano Lucio Garbo, che incassa e sorride. Nomen omen da commedia goldoniana. La bonomia dei veneti ha il sopravvento sull’antipatia.
In realtà il proprietario di Canale Italia, quarto network nazionale dopo Rai, Mediaset e La7, è figlio di Italo Garbo, un grande invalido che viveva della sua pensioncina di guerra, e di Elda Mazzucato, una casalinga che da giovane aveva lavorato in calzaturificio. Fini ai 18 anni ha vissuto con loro in un appartamentino di 80 metri quadrati. Dormiva in camera con la nonna Maria. Quando morì, la vestì lui. E lo stesso fece l’anno scorso con sua madre. «Credo sia stato l’unico caso al mondo di mamma e figlio coetanei. O lei era giovane come me o io ero vecchio come lei. Sono fiero che il suo Dna sopravviva nelle mie vene».
Elda Mazzucato Garbo di Canale Italia era la presidente. E anche l’unica socia, col 10% delle azioni. Se ne andò il 3 maggio 2008, un sabato, e persino Aldo Grasso dovette occuparsi di lei in prima pagina sul Corriere della Sera, perché il figlio Lucio sospese tutte le trasmissioni fino al martedì successivo in segno di lutto: sul cinescopio, solo le immagini dell’ultima festa di compleanno negli studi dell’emittente, quando a sorpresa le aveva telefonato in diretta Silvio Berlusconi per farle gli auguri; in sovrimpressione, la foto sorridente della defunta. Un omaggio che da allora continua sul sito, con la scritta «Per sempre». «In tanti ancor oggi si complimentano, gli pare strano che abbia rinunciato al business. Ma che m’importa se ho perso 300.000 euro di pubblicità. Mi sembra normale, no? È morta mia mamma».
L’uomo di garbo è fatto così. La trasmissione cult di Canale Italia è sempre stata Cantando e ballando, un’apoteosi della musica melodica e del ballo liscio. Così appena arrivo nella sede della Tv a Rubàno, un paesotto della cintura urbana patavina, insiste per portarmi in cabina di regia e farmi vedere il videoclip di Eravamo in 19, brano che ha commissionato al giovane cantante Matteo Tarantino e all’orchestra Bagutti in onore dei nostri soldati uccisi in Irak: «Eravamo in 19 tutti quanti a Nassiriya / per difendere la pace / e portar democrazia. / Ma un giorno esplose il sole / per fanatica follia. / E si spense la mia luce / e volò l’anima mia». Piaceva tanto a mamma Elda. «Ne sono già state vendute 140.000 copie», registra orgoglioso.
Garbo ha 52 anni e svolazza nell’etere da quando ne aveva 16. Prima la radio, poi la televisione. Una grande «S» incastonata nel marmo del pavimento all’ingresso ricorda che fino al 2002 questa si chiamava Serenissima. Oggi dispone di oltre 300 ripetitori, copre col suo segnale il 70% del territorio nazionale, occupa il canale 883 del bouquet di Sky, è pronta per il digitale terrestre, ha aperto sedi a Milano e a Roma. L’Auditel le accredita 1,2 milioni di contatti nel giorno medio. Produce 100 ore settimanali d’informazione in diretta, con una redazione di 30 giornalisti che confezionano tre telegiornali nazionali: quello delle 20.30 ha l’ambizione di rappresentare un’alternativa al Tg2, e del resto Garbo s’è già preso da Raidue il volto delle previsioni meteo, Giancarlo Bonelli. I nove studi di Rubàno sono i più grandi del Nord Italia dopo lo studio 20 Mediaset di Cologno Monzese: qui sono state celebrate le gioiose esequie virtuali di mamma Elda, qui nascono ogni anno 8.760 ore di programmi propri.
Il patron di Canale Italia stavolta fa sul serio: «Lo scrittore Gian Mario Villalta ha detto che i veneti non riescono a esprimere una televisione di rilevanza nazionale. Io gli rispondo: eccomi qua». Dal 21 settembre ha rivoluzionato il palinsesto. Via le televendite a ciclo continuo, basta con i film di terza categoria, stop alle pubblicità notturne di call center a luce rossa. E sotto con i volti noti: Vittorio Sgarbi a presentare Tesori d’Italia, l’inossidabile Luciano Rispoli con Rita Forte sul Tappeto volante, Ambra Orfei e Marco Bellavia, Max Novaresi, Marco Predolin, Sergio Vastano, Roberto Ciufoli («il pelato della Premiata ditta, ha presente?, ho scritturato lui perché senza capelli mi costa meno»), l’ex Gatto di vicolo Miracoli, nonché ex marito di Alba Parietti, Franco Oppini.
Chi altri?
«Monica Marangoni da Unomattina. L’ex campionissimo Ciccio Graziani. Augusto De Megni, il ragazzino che fu rapito nel 1990, vincitore del Grande fratello. Dovrebbero essere della partita Claudio Lippi e Susanna Messaggio. Enrico Beruschi mi chiama ogni tre giorni, è anche venuto qui a trovarmi. Simpaticissimo. Però ha i suoi annetti, e io devo stare attento a non perdermi per strada il pubblico giovane».
Il convertito Paolo Brosio, ho letto.
«Gli è apparsa la Madonna in casa. È caduto dal letto. Poi è andato in pellegrinaggio a Medjugorje e la sua vita è cambiata. Racconterà casi toccanti a Sera Italia».
Anche Paolo Limiti.
«È dietro le quinte».
Credevo che con Rispoli avesse litigato.
«Impossibile litigare con Rispoli. È il signore della Tv, una persona stupenda. E poi ho comprato il format del Tappeto volante».
Al nostro Giancarlo Perna, che pensava a un compenso di almeno 10.000 euro a puntata, Rispoli ha confessato che per fare l’autore, il factotum e il conduttore piglia da lei appena 400 euro.
«Se l’ha detto lui. Non è che navighiamo nell’oro. Mi fa due puntate a settimana e porta tanti begli ospiti che vengono al Tappeto volante solo perché sono amici suoi, senza bisogno del gettone di presenza».
Tipo?
«Piero Angela, per dirne uno».
Come ha fatto a creare dal nulla una rete televisiva nazionale?
«È una storia tutta veneta. Estate del 1972. Mi guadagno qualcosa come magazziniere da un mio cugino concessionario della Sinudyne. Per stipendio porto a casa una radio. Mia madre vede il tasto Fm: “E questo a che serve?”. A niente, è vuoto, le rispondo. “Se è vuoto, qualcuno lo riempirà”. Infatti pochi mesi dopo apre Radio Base 101 in modulazione di frequenza, che annuncia: “Cerchiamo collaboratori”. Mia madre mi manda a presentarmi. Casa di borgata. Aspetto un quarto d’ora sul pianerottolo. La porta si apre. Un tizio mi fa entrare nel cucinino: “Dovresti sistemare questi”. C’erano pile di dischi in vinile sul pavimento. Comincio a dividerli per ordine alfabetico, m’invento un raccoglitore in compensato. È così che sono nate le dediche in diretta. Prima per trovare un 45 giri ci voleva una giornata».
Ma a scuola non ci andava?
«Certo. In radio lavoravo dall’una di notte alle 7 di mattina. Passavo da casa, mi lavavo la faccia e andavo in aula a sedermi nell’ultimo banco, dov’era più facile dormire. Dopo sei mesi chiedo al proprietario di Base 101: potrei guadagnare qualcosina? “Per guadagnare devi raccogliere la pubblicità”. Mi metto a girare tutta Padova su un Ciao. Primo contratto con un falegname, 30.000 lire. Provvigione del 10%, quindi 3.000 lire. Mi faccio due conti: ne avevo spesi 2.700 di miscela. Questo lavoro non fa per me, dico a mia madre. E lei: “Se hai fatto un contratto il primo mese, il secondo ne farai tre”. Infatti. Divento il più grande venditore su piazza. Apro un’emittente mia: Nuova Radio. Un giorno un concessionario della General Motors mi mette in mano delle robe mai viste prima: “Mi sono arrivate dall’America”. Erano spot su videocassette formato Bvu. Penso: se negli Usa vogliono vedere le immagini anziché sentire le parole, presto sarà così anche qui da noi».
E dunque?
«Mi reco a Dolo, dove c’erano 20 soci che avevano fondato la prima Tv libera del Veneto e che litigavano come matti. E con due compagni di cordata, in seguito liquidati, rilevo Serenissima. Funzionava così: un proiettore 16 millimetri, i fotogrammi del film che scorrevano sul muro e una telecamera che riprendeva il muro».
Come ha fatto ad assicurarsi tutte le frequenze necessarie per Canale Italia?
«Sono andato a comprarmele una per una, circa 250, da piccole emittenti locali. A Milano ne ho rilevate due da Antenne 2, la Tv di Stato francese, che non era più interessata a trasmettere in Lombardia».
Perché ha scelto il Club Santa Chiara di Marco Palmisano come partner?
«Perché l’ho conosciuto a una cena a Milano, m’è piaciuto e gli ho affidato le produzioni pomeridiane».
Palmisano lavora per Publitalia.
«E con questo?».
Diranno che c’è dietro Berlusconi.
«Ma non è vero. C’è solo il Club Santa Chiara. Che non ho ancora capito cosa sia».
Vuol portare un po’ di spiritualità nell’informazione.
«Ah, però. Io credevo che facessero solo delle cene. Sa, sono cattolico ma poco praticante».
L’attuale direttore di Canale Italia è Carlo Vetrugno, già direttore di emittenti Mediaset come Rete 4 e Italia 1.
«E di Odeon ed Euro Tv, che non appartengono a Berlusconi, se è lì che vuole arrivare».
Ha preferenze per Alleanza nazionale?
«No. Mi piace molto Berlusconi».
Però è stato consulente di Maurizio Gasparri, allora ministro delle Comunicazioni.
«Per quattro anni. Non sapeva un tubo di frequenze. Mentre io potrei montarmi un ripetitore da solo. Ho collaborato per gli aspetti tecnici alla stesura della legge Gasparri».
Apprezza Gianfranco Fini?
(Si copre gli occhi con le mani). «Sta facendo politica per se stesso. Un’arrampicata che non è cominciata ieri».
A che ora attacca a lavorare?
«Dalle 6 alle 9 va in onda il talk show Notizie oggi, quindi le pare che me lo perdo? Ci sono sempre ospiti importanti in collegamento da Roma o da Milano. Siamo gli unici a non filtrare le telefonate. Più bravo di me è il conduttore Vito Monaco, che alle 4 è già in piedi. Stamattina ce l’aveva su col burqa».
Mancava solo Carlo Pelanda che schiaffeggia il fondamentalista islamico Adel Smith e riceve in cambio un cazzotto.
«Memorabile. Quella volta fummo ripresi anche dalla Cnn e dalla Tv di Stato russa».
Che cos’avrà voluto dire il critico Aldo Grasso, quando sul Corriere commentò, a proposito dei tre giorni di lutto televisivo in onore di sua madre: «È su cerimonie mediatiche come questa che forse bisogna interrogarsi per capire un po’ meglio in che Italia “reale” viviamo»?
«Che alla fine è una bella Italia. Lo scrittore Villalta sospetta che noi veneti siamo antipatici al resto degli italiani. Be’, senta, a me invece non è antipatico nessuno».
Però ha dovuto cambiare nome alla Tv.
«Per forza. Stavo acquisendo frequenze in tutta Italia. Arrivo a Firenze e l’edizione locale di Repubblica titola: “I serenissimi sbarcano in Toscana”. Lei cambierebbe nome ai suoi figli? Mai, vero? Io nemmeno. E invece sono stato costretto a farlo, altrimenti m’avrebbero scambiato per socio degli otto che il 9 maggio 1997 assaltarono il campanile di San Marco».
Ma le piacerebbe vivere sotto i dogi?
«Sto benissimo così. I dogi non avevano il televisore. Che mestiere avrei potuto scegliere se fossi nato a quel tempo? Devo ancora capire se sono un editore. Però so una cosa: che sono puro. Faccio solo la Tv».
Si sussurra che vorrebbe comprare La7.
«È vero che si sussurra. Ma è falso».
Mediaset non sarà infastidita dalla concorrenza di Canale Italia?
«Ho un centinaio di dipendenti. Fatturo 20 milioni di euro, contro i 3 miliardi di Mediaset. Che concorrenza può esserci fra un leone e un microbo?».
I rapporti con i suoi redattori non sono idilliaci.
«Mai licenziato nessuno. Non ho rinnovato due contratti a termine e la redazione ha risposto con un giorno di sciopero. Fine. Questa è una famiglia. Ci sono collaboratori che lavorano con me da un quarto di secolo».
Malignano che abbia un debole per la procace astrologa Sirio.
«L’ha mai vista?».
No.
«Ecco, poi gliela faccio vedere. Mi dileggiano perché le ho fatto il contratto».
In Internet c’è un blog, I film pazzeschi di Canale Italia, che aggiorna di continuo la lista delle pellicole trasmesse, titoli mai sentiti come Cosa fare a Denver quando sei morto, Il brigadiere Pasquale Zagaria ama la mamma e la polizia, Il giallo del bidone giallo.
«Forse li abbiamo trasmessi in seconda serata. Fanno ascolti. Adesso per la prima serata ho comprato film come Mediterraneo di Gabriele Salvatores e Nikita di Luc Besson».
Conosce l’attore Dean Cameron?
«Mai avuto il piacere. Chi è?».
Interpreta Pizza Man nel Giallo del bidone giallo.
«Va bene, grazie.
(469. Continua)
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