Roma - Nei corridoi di Montecitorio l’hanno già ribattezzata «la rivolta dei piccoli». Con i cosiddetti «partitini» di maggioranza e opposizione che serrano decisamente le fila e fanno quadrato contro la proposta di riforma elettorale tratteggiata dal ministro Vannino Chiti alla Camera. All’appello non manca quasi nessuno se ad accusare il titolare delle Riforme di «equilibrismo» e di «flirtare» con il Cavaliere sono tutta la sinistra radicale (Rifondazione, Pdci, Verdi), ma pure Italia dei valori, Udeur, Udc e Nuova Dc. Insomma, un’alzata di scudi in piena regola. Tant’è che Giovanni Russo Spena arriva a definire il lavoro di Chiti «solamente una traccia».
«Credo - fa sapere il capogruppo del Prc al Senato - che se dobbiamo partire da queste indicazioni avremo non poche difficoltà nel percorso di costruire la legge». Anche perché, ci tiene a precisare, «non siamo d’accordo nel merito», in particolare sul presidenzialismo che «abbiamo contribuito a respingere con il referendum lo scorso giugno». E rilancia il ddl di legge elettorale presentato da Rifondazione che si richiama al modello tedesco. I Verdi sono invece preoccupati dalla liaison tra il Pd e Silvio Berlusconi. Perché, spiega il capogruppo alla Camera Angelo Bonelli, «constatiamo con molta amarezza che l’accordo è stato modificato a misura del Pd». Insomma, sembra che «ci sia una sorta di flirt tra Partito democratico e Berlusconi per costruire una legge elettorale in modo tale da consentire al partito unico, sia esso di destra che di sinistra, di governare da solo il Paese». Perplessità anche dal Pdci, con Orazio Licandro che vede tornare «in alto mare tutta la materia». È tiepida, invece, l’Italia dei valori. Con il capogruppo alla Camera Massimo Donadi che giudica «complessivamente positive» le indicazioni di Chiti ma critica la proposta di rinviare l’introduzione dello sbarramento al 5% alle elezioni successive alle prossime. «Piuttosto che pensare a uno sbarramento altissimo tra dieci anni - dice - sarebbe meglio uno al 3% già a partire dalla prossima legislatura». Mentre il suo collega di partito Pino Pisicchio, presidente della commissione Giustizia della Camera, è sicuro che «senza voti di preferenza non si fanno passi avanti». E anche Gianfranco Rotondi se la prende con lo sbarramento che paragona a «un assegno post-datato». Perché, spiega il segretario della Dc per le Autonomie, «si incassa dopo due legislature». Insomma, «roba da magliari».
Di «intesa liberticida» parla Mauro Fabris, capogruppo dell’Udeur alla Camera. «In Parlamento - dice - l’iter per la riforma elettorale rischia di non approdare mai, perché il ministro Chiti non ha portato in Commissione una proposta secondo l’intesa raggiunta nella maggioranza, ma una serie di ipotesi, anche tra loro contrastanti, che rischiano solo di far perdere altrettanto tempo». E conclude polemico: «Evidentemente le conclusioni dei congressi Ds e Dl spingono l’Ulivo e gran parte del governo a cercare ciò che non riescono a fare per via politica. E cioè far nascere un grande partito. Vista l’attenzione che raccolgono nella Cdl si rischia un’intesa liberticida».
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