Laura Novelli
Il primo obiettivo dellamericano Roger Rueff che sembra voler perseguire in Hospitality Suite, in scena al Piccolo Eliseo con la regia di Danilo Nigrelli, è quello di rimarcare le aporie di un sistema sociale ed economico che trova nel rampantismo, nel profitto, nella gloriosa legge del business e del mercato, i suoi solidi punti di riferimento. Tale obiettivo ne implica ovviamente un altro, ben più sottile ma - per dirla tutta - neanche troppo alluso. Quello cioè di criticare questo stesso sistema (assai facile viene il confronto con drammaturghi quali Miller e Mamet) contrapponendogli con ossessiva insistenza presunti valori etici e/o religiosi.
Lo spettacolo che ha costruito Nigrelli (attore di ben noto talento qui alla sua prima regia teatrale) abbraccia in pieno il registro didascalico del testo e anzi ne osserva le tematiche con sguardo volutamente illustrativo, facendo appello a moduli scenici e interpretativi che evocano con estrema chiarezza lo yuppismo anni Ottanta e Novanta. A partire proprio dai tre personaggi della pièce.
Si tratta di tre impiegati di una società di lubrificanti mandati in missione allo scopo di «accalappiare» un facoltoso cliente. Il regista sceglie di farli vestire in scena, come se volesse restituire lidea di un rito laico spersonalizzante: sono maschere in cravatta ritagliate nellorganigramma di una azienda che chiede loro solo di produrre e stringere nuovi contratti. Larry (lottimo Nigrelli) e Phil (laltrettanto incisivo Massimo de Lorenzo), pur se in modo molto diverso luno dallaltro, appaiono del tutto integrati al sistema; il giovane Bob invece (lo interpreta un legnoso Andrea Capaldi) se ne tiene fuori, compromettendo lintera operazione ed ergendo a baluardo positivo la fede incondizionata (ma alla fine dei conti anchessa manipolatoria) nel Vangelo.
Repliche fino a domani.
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