Quasi nessuno sembra accorgersi della crisi in cui sta precipitando la democrazia italiana. Forse siamo tutti distratti dalle urla scomposte dentro e fuori del Parlamento mentre si allungano sul Paese ombre inquietanti che ci fanno pensare all’esistenza di paure e ricatti trasversali. Andiamo con ordine partendo dal preannunciato sciopero dei magistrati deciso dalla giunta dell’Anm. Un’iniziativa grave non perché i magistrati non possano protestare, anche se l’essere uno dei tre poteri di uno Stato di diritto imporrebbe loro una diversa capacità di confronto con le istituzioni repubblicane. Ma passi anche lo sciopero come forma di lotta, anche se ci sembra che in Europa non vi siano precedenti simili. Quel che diventa democraticamente intollerabile, però, è che si sciopera contro il Parlamento. Nella storia repubblicana del nostro Paese questo non è mai avvenuto. Si sciopera contro il governo o contro altre amministrazioni pubbliche oltre che, naturalmente, in settori del lavoro privato, ma mai contro la sovranità popolare che risiede esclusivamente nel Parlamento della Repubblica. Oggi il provvedimento sull’ordinamento giudiziario è in discussione al Senato la cui assemblea è sovrana nel legiferare e lo stesso governo non potrà che prendere atto delle sue decisioni. Se l’Associazione nazionale dei magistrati ha un giudizio negativo sul nuovo ordinamento giudiziario chieda di essere ricevuta dai gruppi parlamentari di maggioranza e di opposizione e faccia nei loro riguardi un’offensiva di persuasione spiegando le ragioni del proprio dissenso. E lì si deve fermare. Andare oltre come sta facendo l’Anm, piaccia o no, significa mettere in discussione la sovrana libertà del Parlamento nell’individuare l’interesse generale del Paese. È questa la democrazia, non certo l'intimidazione o il tentativo di condizionare i lavori parlamentari con lo sciopero. Ma i magistrati non sono soli in quest’opera di destrutturazione della democrazia italiana. È impressionante l’intervista rilasciata qualche giorno fa al Corriere della Sera da Guglielmo Epifani. Il segretario generale della Cgil, infatti, bacchetta i partiti per la loro interferenza nella trattativa che i sindacati stanno conducendo con il governo sull’intera riforma previdenziale. Epifani dimentica che i partiti sono soggetti politici previsti dalla Costituzione i cui rappresentanti costituiscono il Parlamento della Repubblica. Sino a quando i sindacati trattano l’aumento delle pensioni minime sono nel loro diritto e dovere. Quando, però, ritengono di avere l’esclusiva per definire con il governo l’intera riforma previdenziale, che interessa milioni di italiani che essi non rappresentano, mettono in moto un meccanismo autoritario che «piccona» e destruttura in maniera grave la nostra democrazia parlamentare. Vale dunque per essi ciò che abbiamo detto per i magistrati. I sindacati spieghino al governo la propria visione sulla riforma previdenziale e quando il governo avrà presentato, senza alcuna contrattazione blindata, la propria proposta se hanno da dissentire chiedano di essere ricevuti dai gruppi parlamentari per illustrare le proprie ragioni. È il Parlamento il luogo nel quale le voci di tutti devono potere arrivare ed è al Parlamento che spetta definire un progetto di riforma capace di coniugare diritti, doveri e sostenibilità finanziaria per l’oggi e per il domani. Se i magistrati e i sindacati sbagliano, però, la maggiore responsabilità ricade sul governo e sull’intero sistema politico. Il primo tenta di essere un giocatore solitario dimenticando che la sua vita è legata alla propria maggioranza parlamentare. Il secondo, e cioè il sistema politico, da troppi anni è intimidito e sembra non rendersi conto che se non recupera il suo primato attraverso quello del Parlamento i vari interessi organizzati sempre più autoreferenziali vanno in rotta di collisione tra loro e contro le istituzioni repubblicane. Basta leggere la lettera-appello di Walter Veltroni ai sindacati in cui c’è un assordante silenzio su questo argomento per capire come il primato del Parlamento non sia più nella testa e nel cuore di larga parte della sinistra italiana.
Se a tutto ciò si aggiunge quel sospetto che nasce dall’irrituale denuncia del Csm contro il Sismi, già peraltro respinta dal nuovo direttore Branciforte, il quadro di «un mal sottile» della democrazia italiana si completa in maniera inquietante e purtroppo non lascia presagire niente di buono.Geronimo
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