A coronare il secolare primato culturale fiorentino e vanto del mecenatismo mediceo in tutta Europa, è la rassegna «Arte e Manifattura di corte a Firenze dal tramonto dei Medici allImpero (1732-1815)» a Palazzo Pitti (Palazzina della Meridiana) fino al 5 novembre 2006. Lesposizione celebra loperato dei Siries (francesi dorigine ma trapiantati a Firenze dai tempi di Gian Gastone de Medici), una dinastia di abili artefici e direttori per diverse generazioni del glorioso opificio granducale fondato nel 1588.
Molto si è detto e scritto sulla lavorazione dei commessi rinascimentali e barocchi fiorentini, in gara con Roma ma diversi nellelaborare il carattere «antiquario» dellUrbe - che si affidava principalmente al reimpiego dei marmi colorati - per quel loro compiacersi di riprodurre nella dura pietra lineffabile naturalismo della più avanzata prassi scientifica comparativa; poco invece si è trattato, salvo fra gli specialisti del settore, della magnificenza settecentesca della manifattura granducale che è perdurata, rinnovandosi nel repertorio e nelliconografia, sino allImpero, passando attraverso la parentesi del dominio lorenese. Con una produzione che ha mantenuto il suo altissimo virtuosismo, perfezionando le tecniche tradizionali per conseguire gli effetti più strabilianti nellassecondare un gusto di corte sempre più sofisticato e insaziabile di artifici: soprattutto nel raggiungere il parossismo della verosimiglianza nella «pittura di pietra», resa con la scioltezza della pennellata e la delicatezza dellacquarello per scene bucoliche, paesaggi idilliaci, ritratti con stemperate effigi di principi e dei loro pargoli - secondo la moda del tempo - ma anche fragili porcellane dOriente, trionfi di coralli e conchiglie stagliate sul blu oltremarino del lapislazzuli screziato di vene dorate come i traslucidi riflessi delle onde, e i battiti dala di farfalle variegate che fanno da contrappunto alle più leggiadre allegorie degne della penna di un Parini.
E lentamente, tra le venature corrusche dei diaspri e le sfumate trasparenze dei calcedoni, sinsinua la temperie neoclassica ordinata entro meandri alla greca che enfatizzano leco delle riscoperte di Ercolano e Pompei, larcheologismo dei vasi etruschi o allantica Roma, compendio di un redivivo Olimpo pagano a tinte rosse che incede nelle sagome scure di tutte quelle coppe e quelle anfore che nei suoi album Lord William Hamilton da Napoli diffondeva per lEuropa intera illuminandoli dei bagliori delle eruzioni del Vesuvio.
Annamaria Giusti e Cristina Acidini, alla guida dellOpificio delle Pietre Dure, hanno atteso a questa mostra con filologico impegno non esente da una visione sinora inedita nellordinare il fior fiore del laboratorio mediceo condotto dai Siries con la collaborazione di uno scelto drappello di dotti e artisti, come Giuseppe Zocchi e Antonio Cioci che furono gli autori di progetti e modelli da tradursi in pietra, corredandola di manufatti coevi che ne giustificano e illustrano gli sviluppi e che nessun luogo più appropriato della Palazzina della Meridiana nel principesco Palazzo Pitti, per loccasione riaperta grazie allimpegno di Carlo Sisi e Caterina Chiarelli, poteva accogliere.
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