RomaSbraitano, denunciano, si dissociano. Ma sotto sotto se la ridono. Il fatto è che per Antonio Di Pietro e Pier Luigi Bersani - e mettiamoci anche Pier Ferdinando Casini - questa stangata è una pacchia, un terno al lotto vinto senza nemmeno pagare la schedina in ricevitoria. Per loro sono passati a saldare Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, che hanno staccato un bellassegno in termini di consenso.
Prendiamo Di Pietro. La sua posizione sulla manovra è chiara, anzi no. «Per il 90 per cento pesa sulle spalle dei cittadini e della povera gente, dei ceti medi e medio bassi», spara ad alzo zero il leader dellItalia dei Valori. Che però, accontentati i suoi elettori con il titolo forte, apre più di uno spiraglio: «LIdv può votare la manovra se saranno accolte richieste di modifica». Di Pietro gioca a interpretare il ruolo che più predilige negli ultimi mesi: quello del leader di unopposizione responsabile. E lo scopo è chiaro: accreditarsi come credibile alternativa per lelettorato deluso del Pdl - una schiera prevedibilmente rimpolpata dal bagno di sangue economico preparato dal governo di centrodestra - per poi passare allincasso elettorale.
Per riuscirci lex magistrato deve far passare il seguente messaggio: apprezziamo il tentativo del governo, si poteva fare di meglio e noi certamente ci saremmo riusciti, ma pur di salvare lItalia dal baratro collaboreremo. E Di Pietro prepara il terreno sottolineando qualche aspetto positivo del manovrone: intanto, il fatto stesso di esistere. «Finalmente lesecutivo ha varato un provvedimento formale. Da oggi non parliamo più di aria fritta». Poi, sufficienza striminzita sullabolizione delle Province («una proposta solo parziale. Comunque, tra non cancellarne alcune e toglierne la metà, prendiamo atto del bicchiere mezzo pieno») e sette pieno invece per «la razionalizzazione per i Comuni con pochi abitanti e per la riduzione delle poltrone elettive». Naturalmente ci sono anche tante bocciature, dall«ulteriore riduzione dei trasferimenti per gli enti locali agli attacchi verso il mondo del lavoro e la riduzione del welfare». Ma Di Pietro è disposto a dire di sì alla manovra purché sia accontentato nella forma («la precondizione è che il governo non metta la fiducia») e nella sostanza, con laccoglimento di alcune voci della contromanovra da 70 miliardi preparata dallIdv: come far tornare i soldati che combattono in Libia e Afghanistan, cancellare tutte le Province, combattere levasione fiscale e «un contributo di solidarietà del 10-15 per cento per tutti i cosiddetti scudati, che hanno riportato i soldi in Italia pagando una cifra ridicola».
Più o meno sulla stessa linea Casini. Pure il leader dellUdc fa quello che si accontenta per senso civico: la manovra è «iniqua», «tartassa i soliti noti che non evadono le tasse, il ceto medio e le famiglie» ed evita «quegli interventi strutturali di cui invece il Paese ha bisogno». Ma che volete: sono «parzialmente recepite alcune delle nostre indicazioni sulla tassazione delle rendite finanziarie, sui tagli alle Province e sullaccorpamento dei piccoli Comuni, sempre che tutto questo non si riduca allennesimo annuncio a effetto». Perciò «le forze di opposizione devono corrispondere con grande serietà e senso dello Stato» al «sacrificio immenso che il governo chiede al Paese».
E Bersani? Se la ride anche lui, ma dalle barricate di velluto e non dal tavolo delle trattative. Berlusconi infatti si può dire che abbia varato una manovra in stile-Pd, che penalizza il ceto medio-alto, il popolo delle partite Iva. Insomma, il premier ha fatto il lavoro sporco per Bersani, che però non gli concede nemmeno lonore delle armi: «Una manovra depressiva, poco credibile e ingiusta», taglia corto il segretario Pd.
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