da Roma
Binetti contro Bonino, Bonino contro Realacci, Di Pietro contro tutti: non passa giorno senza che nel Partito democratico scoppi una qualche rissa tra le diverse componenti che Veltroni ha unificato sotto le proprie bandiere.
A tre settimane dal voto, e dopo essersi liberato dalla scomoda alleanza con la sinistra, le varie anime del Pd e la sua minicoalizione con Di Pietro si rivelano difficili da governare quasi quanto la scombiccherata Unione prodiana. Ieri, lunedì di Pasquetta, nonostante la pausa di vacanza la regola non ha visto eccezioni: il ministro radicale Emma Bonino, capolista Pd in Piemonte, in diretta da Radio Radicale ha definito «incomprensibile» il comportamento del partito veltroniano nei confronti dei pannelliani, messi in lista ma poi bistrattati o ignorati, trattati come «parassiti o sfaticati». Quanto a Tonino Di Pietro, sul suo blog lex pm si è scatenato contro il «veto inaccettabile» ad un suo eventuale incarico da ministro della Giustizia. In caso di vittoria del Pd, naturalmente.
Di Pietro ce lha con Goffredo Bettini e con lo stesso Veltroni, che nei giorni scorsi hanno (molto comprensibilmente) assicurato che nessuno, in un ipotetico governo Pd, pensa di mettere la volpe nel pollaio: «Per la storia di forte esposizione che ha, non credo che quello della Giustizia sarebbe il dicastero più adatto per lui», è stato laltolà del braccio destro veltroniano Bettini. E il leader due giorni fa ha confermato: «Non credo che Di Pietro abbia alcuna intenzione di fare il Guardasigilli», ha detto, e comunque «non è proprio nel novero delle cose di cui si discute».
Allex pm, impegnatissimo a guadagnarsi visibilità proprio sui temi a lui cari del giustizialismo e dellantiberlusconismo (anche per cercare di risalire la china di sondaggi poco lusinghieri), è saltata la mosca al naso: «Il partito di Berlusconi non vuole che diventi ministro della Giustizia - tuona via Internet - e da parte del Pdl è assolutamente comprensibile. I veti che arrivano da esponenti del centrosinistra, un giorno sì e laltro pure, non sono altrettanto comprensibili e nemmeno accettabili». Qualcuno, sfida Di Pietro, «mi deve spiegare perché». E insinua il sospetto che la «mia politica giudiziaria faccia paura» anche a sinistra.
Dal quartier generale veltroniano si reagisce con un totale silenzio alle intemperanze del ministro (tuttora in carica) per le Infrastrutture. E anche alle rimostranze di Emma Bonino, che si chiede se dal Pd la presenza dei radicali sia considerata «inutile o dannosa», visto che li si tiene alla larga dal palcoscenico della campagna elettorale. «Quando abbiamo siglato laccordo mi pare si fosse parlato anche di una percentuale di spazi televisivi destinati ai nostri candidati - dice il ministro -. Che ne è stato?». E incalza: «Del giro elettorale di Veltroni in Piemonte, dove sono candidata e che viene considerata una delle regioni in bilico, ho saputo solo dopo che cera stato. Sembra che il Pd possa, voglia e debba fare a meno di noi. È un problema politico, non di organizzazione: o si considerano i radicali inutili, o li si ritengono dannosi, oppure non è comprensibile la scelta che il Pd ha fatto». Bonino se la prende anche con il responsabile Comunicazione della campagna veltroniana, Ermete Realacci, che laltro giorno le mandava a dire di non aspettare che il Pd le «organizzi i convegni» e di «muoversi da sola, visto che non è una novizia della politica». Certo che «ci siamo organizzati e ci stiamo organizzando da soli - ribatte lei - non siamo né dei parassiti né degli sfaticati».
Il problema è che, se anche Veltroni volesse dare più visibilità ai candidati radicali che ha deciso di candidare nelle sue liste, gli si aprirebbe subito una falla allaltro capo del partito: la scorsa settimana, una partecipazione di Emma Bonino ad Anno Zero ha subito fatto insorgere la teodem Binetti, che si è lamentata di aver provato «disturbo» nel veder rappresentata da lei la linea Pd sulla famiglia. Tanto da paventare «un altro calo dei nostri consensi dopo quello incassato a ridosso dellentrata dei radicali nel Pd».
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