Massimo Malpica
Ad alimentare i dubbi su quella consulenza da 4 milioni di euro allex magistrato Guglielmo Ascione (che in passato prosciolse Di Pietro in due occasioni) assegnata dalla società Autostrada Brescia-Padova, e sui legami tra questa e lex ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, cè anche una sentenza. Quella del tribunale di Torino che archivia la querela per diffamazione presentata dallo stesso Ascione contro lex Guardasigilli Clemente Mastella. Questultimo in unintervista alla Stampa un anno fa aveva detto: «Io in un governo con Di Pietro non ci posso stare più. Un signore che si permette di attaccarmi e che intanto ha fatto avere al giudice di Brescia che lo prosciolse un incarico da 3 milioni di euro in faccende di autostrade». Erano i giorni successivi allarresto della moglie di Mastella, e le polemiche seguenti portarono il governo alla caduta.
In quel contesto, il parlamentare Mauro Fabris dellUdeur salutò così lannuncio di querela di Di Pietro: «Finalmente. Da mesi i parlamentari di tanti partiti chiedono a Di Pietro di chiarire come sia stato possibile ottenere, da parte dellautostrada Brescia-Padova, la firma del ministro delle Infrastrutture sulla proroga della concessione autostradale. Questo non appena la società ha dato incarico allavvocato Ascione, dopo che per anni il governo Berlusconi aveva negato tale proroga».
Sul punto, appena pochi giorni fa, Di Pietro ha sostenuto la sua assoluta estraneità nella consulenza ad Ascione: «Questa circostanza è già stata smentita in tutte le sedi. Ribadisco che non ho dato mai alcuna consulenza ministeriale ad Ascione, né mi sono mai interessato a fargliene avere da qualcuno». Aggiungendo che Ascione «ha avuto un incarico dalla società concessionaria autostradale Brescia-Padova (che col ministero non centra)».
Ma sul tema si è esercitata la magistratura torinese. E in quella sede smentite non ne sono arrivate. Tanto che la posizione di Mastella è stata archiviata. Non è che i giudici piemontesi sanciscano che a procurare lincarico ad Ascione sia stato lex pm, ma lasciano aperta la porta ai dubbi. «Le dichiarazioni di Mastella - si legge in sentenza - nella sostanza connotavano negativamente lintervenuto conferimento per un compenso considerevole di un incarico professionale allavvocato Ascione in materia collegata in qualche misura al ministero delle Infrastrutture». E Mastella, dicono ancora i giudici, «individuava tra tale circostanza (fatto vero) e i precedenti rapporti Di Pietro-Ascione, un collegamento (fatto non provato) nel quale si sostanzia la critica relativa a una scarsa trasparenza e correttezza». Daltra parte le dichiarazioni di Mastella si riferivano, ricordano i giudici, «a un episodio ben noto alle cronache che era stato oggetto non solo di commenti da parte degli organi di stampa e di verifiche della corte dei conti ma altresì di specifiche e puntuali interrogazioni parlamentari». Tanto da respingere lopposizione di Ascione allarchiviazione di Mastella, accogliendo la richiesta del pm di chiudere la vicenda, sia riguardo allex Guardasigilli sia al giornalista autore dellintervista. Proprio a proposito dellapplicabilità del diritto di cronaca, i giudici concludono rimarcando «quanto sopra si è esposto (con riferimento ai requisiti di verità e continenza) in ordine alla veridicità del fatto (incarico conferito ad Ascione e compenso da questi percepito), e al fatto che le considerazioni ulteriori di Mastella sul punto consistevano nellindividuazione di un collegamento quanto meno indicativo di scarsa trasparenza tra tale incarico e il ministro Di Pietro, visti i fatti avvenuti anni addietro, collegamento peraltro già individuato e ipotizzato in altre sedi, e in particolare sia in Parlamento che sugli organi di stampa». Ascione nel 1995 archiviò un esposto di Sergio Cusani che aveva denunciato la falsificazione di carte fornite dal faccendiere Chicchi Pacini Battaglia sulle quali Di Pietro aveva imbastito il processo Enimont. Eppure lanno dopo una perizia confermò che le carte erano state contraffatte. Ma lesposto era ormai andato. Sempre Ascione aveva archiviato le accuse del pentito Salvatore Maimone, che nel 1993 ai magistrati di Firenze dichiarò che tra le personalità che «coprivano» lautoparco milanese gestito dalla mafia ci sarebbe stato anche Di Pietro.
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