Di Pietro gioca col fuoco: "Alle armi"

Per il leader Idv un decreto «salva liste» equivale a un golpe: «Bisogna chiamare gli italiani alla resistenza». E De Magistris: «Siamo nel Cile di Pinochet». Il Pdl: «Incitamenti alla violenza»

Di Pietro gioca col fuoco: "Alle armi"

Roma «La mia è una chiamata alle armi». Letteralmente, così ha detto Antonio Di Pietro all’Unità. Ultima frase di un’intervista contro i «golpisti» che preparano nel governo il decreto salva-liste per le regionali. Di fronte a un colpo di Stato «bisogna chiamare alla resistenza», ha poi chiarito. Tanto per mantenersi su toni pacati. Al confronto, il «governo arrogante, non cerchino scorciatoie» di Pierluigi Bersani è una filastrocca per bambini. È Di Pietro che fa parlare di sé per tutto il giorno e fa dire al sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto: «Questi termini rasentano il limite del reato».
Tonino va alla guerra: «Ci stiamo attrezzando nelle piazze e nel Paese».
E invece passano poche ore ed ecco Luigi De Magistris che esterna sulle regionali, le liste, il decreto. Cita direttamente il Cile e Pinochet. Berlusconi come «novello» dittatore, «in versione profetica», Roma la Santiago degli anni ’70. Nella gara a diventare il Salvador Allende dell’Italia, vince lui, è fuor di dubbio. L’ex pm di Catanzaro. Ha azzeccato la dichiarazione, ha contestualizzato l’idea di Di Pietro. Non basta dire golpe, resistenza, armi. Bisogna visualizzare i miti, offrire paragoni storici, proporsi salvatori della Patria. E lui lo fa, il delfino dai denti affilati, compagno di partito eppure lontano, lontanissimo dal suo padre politico: «Non siamo più in una democrazia plebiscitaria, ma in un regime vero e proprio che sta attuando un colpo di Stato».
Bersani inizia a farsi più incisivo: «Pensino al Paese o vadano a casa», dichiara, chiudendo definitivamente la porta a un’intesa sul decreto per le liste Pdl di Lazio e Lombardia. «Il Pd si dissoci dalle parole eversive di Di Pietro», lo invita il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi. «È sconcertante che in un momento di discussione intorno ai principi fondamentali della democrazia, - avverte il capogruppo del Pdl in Senato, Maurizio Gasparri - Di Pietro usi un linguaggio che può diventare violenza. Dopo linguaggi densi di violenza si verificò una criminale aggressione nei confronti del presidente Berlusconi».
Ma Bersani non commenta: né nel bene né nel male. Invia solo appelli al governo: non si cambiano «le regole in corsa», non «buttatela in caciara. Volete un accordo? No. Lo devo dire in cinese?». E quindi le parole di Di Pietro e di De Magistris rimangono e non si cancellano. Scritte e sottoscritte.
Non arrivano infatti smentite dall’Italia dei valori, anzi. Quando Umberto Bossi puntava i «cannoni» contro i nemici politici, tutti gli davano contro, lo prendevano sul serio, neanche il Senatùr conservasse sotto il cuscino un manuale di artiglieria.
Ora che invece Di Pietro parla come un rivoluzionario del diciannovesimo secolo, i suoi lodano il valore linguistico della «metafora», perché di questo si tratta, non di frasario eversivo, se le parole-palle di cannone le spara l’ex pm: «La chiamata alle armi da parte di un uomo di legge come Di Pietro non può che essere metaforica», valuta mitemente il capogruppo dell’Idv in Senato, Felice Belisario.
Le armi in questione, chiarisce Belisario consultando i brogliacci dell’Operazione Condor, sarebbero però quelle di una forza internazionale di pace, perché alle truppe di Ban Ki Moon spetterebbe, per competenza, un intervento a Roma qualora Renata Polverini e Roberto Formigoni tornassero a correre regolarmente nelle loro Regioni: «Di fronte a una scelta golpista di Berlusconi - avverte - saremo costretti a chiamare i Caschi blu dell’Onu». Tra la resistenza armata dell’Idv e il «no» cinese del Pd, Pier Ferdinando Casini si mantiene prudente: «Sono i magistrati che hanno in mano la questione».


La cosa più incredibile è successa sul blog di Di Pietro: dopo che il fratello coltello De Magistris gli ha rubato la metafora cilena, Tonino ha tentato di recuperare una primizia in bianco e nero: ecco comparire sulla home page un’immagine di generali intervistati dalle telecamere. Tra di loro, il viso in fotomontaggio di Berlusconi.

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