Di Pietro, il kamikaze che non s’è accorto che la guerra è finita

È come i soldati giapponesi. In guerra, anche se la guerra è finita da un pezzo. Anzi, da più di mezzo secolo. I militari del Sol Levante però erano acquattati nella giungla e nessuno li aveva informati che l’imperatore si era arreso. Antonio Di Pietro, invece, ha un bisogno disperato della guerra che non c’è, di un nemico, del nemico. Silvio Berlusconi. Senza Berlusconi, Di Pietro sparirebbe insieme al suo armamentario di parolone caricate a salve. E allora simula la giungla, immagina devastanti conflitti, configura situazioni da golpe. È una caricatura; per esistere, per dimostrare di esserci anche il 25 aprile, a Di Pietro non basta mettersi un fazzoletto al collo, proprio come Berlusconi due anni fa a Onna. No, ci vuole qualcuno contro cui urlare slogan. E il Cavaliere è perfetto: «Oggi invito tutti i cittadini a riflettere sui valori che fondano la nostra Costituzione: la libertà, la dignità e la giustizia. Valori che il Governo Berlusconi e la sua maggioranza screditano ogni giorno con il loro operato. Berlusconi ambisce a tutti i posti, anche a quello di Gesù Cristo». Boom! Ma è solo l’inizio. Il leader dell’Italia dei valori invita alla mobilitazione generale davanti ai tentativi dell’esecutivo di disinnescare la prossima tornata referendaria: «Questo è un golpe strisciante e non si può festeggiare, come se nulla fosse, la nascita della democrazia mentre c’è chi si sta dando da fare per ucciderla».
Addirittura? Le istituzioni sono in pericolo? Per Di Pietro il bambinello della democrazia, che intanto ha compiuto 66 anni e ormai ha i capelli bianchi, può essere ucciso dall’uomo nero di Arcore. Che noia. Anzi, che ossessione. Il passo avanti è un passo indietro. Sostituire l’antifascismo con l’antiberlusconismo, riportare indietro le lancette, tenere in vita artificialmente una guerra che da un pezzo c’è solo nei libri. Ci vuole la giungla. Dove entrare armati di una pistola giocattolo. Ci vuole un nemico da demonizzare e pure un calendario sui cui segnare le date della fantomatica liberazione: «Il prossimo anno liberi da Berlusconi». Frase che fra l’altro, ha sempre portato male ai nemici del Cavaliere. È dal 1994, da 17 anni, che la gridano, ma i risultati sono sempre quelli che sono. Alla fine il Cavaliere è sempre in sella, in Parlamento la maggioranza cresce perfino di questi tempi, le elezioni intermedie sono state vinte dal centrodestra, mentre gli altri leader occidentali collezionavano batoste su batoste. Non importa, per Di Pietro non c’è liberazione senza liberarsi da Berlusconi, e il Parlamento, con lui al potere, «è ridotto a un mercato dove i voti si vendono e si comprano alla luce del sole, senza nemmeno più doversi nascondere in qualche angolo buio». Cupo. Tenebroso. Apocalittico.


Quando l’antiberlusconismo non basta, ecco che l’ex pm è pronto a dare una mano di antifascismo: «La Russa non è un postfascista, ma un fascista, che non ha cambiato idea, ma solo la casacca e sotto la divisa è rimasto quello di trent’anni fa». Boom! Boom! La caccia al nemico continua. E l’imperativo è uno solo: restare nella giungla. Fuori c’è solo la normalità a cui Di Pietro dovrebbe arrendersi. Senza condizioni.

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