Di Pietro manda in cortocircuito l’Unione

Franceschini: «Si danno i turni a creare problemi interni»

Laura Cesaretti

da Roma

Al termine di una giornata convulsa, con l’indulto finalmente approvato grazie ai voti Cdl, ma nuove profonde lacerazioni nell’Unione, Piero Fassino riflette a voce alta sulla necessità di allargare la maggioranza. «È un obiettivo di medio periodo - spiega - da perseguire nei prossimi mesi». Certo senza cacciare nessuno, precisa. Ma intanto il leader ds tira un bel sasso in piccionaia, dicendo l’esatto contrario di quanto affermato da Prodi solo poche ore prima: «Non vedo alternative a questa coalizione».
«Bene, Piero ha capito che bisogna darsi una smossa perché così non si va avanti», approva un dirigente ds. «E dovrebbe essere lui a prendere l’iniziativa e, da capo del maggior partito, andare a parlare con Berlusconi: è con lui che bisogna accordarsi, e Prodi ovviamente non lo farà mai, lui resta in sella solo se Berlusconi continua ad essere l’uomo nero». D’altronde la giornata di ieri ha segnato un nuovo record di malessere nell’Unione. «Se Di Pietro fa scuola, la maggioranza rischia l'infarto», avverte lo Sdi Villetti. Il problema è che Di Pietro ha già fatto scuola, ammesso ce ne fosse bisogno: «Qui è chiaro che si danno i turni per creare ogni giorno un nuovo problema dentro la coalizione», constata esasperato Dario Franceschini, capogruppo dell’Ulivo a Montecitorio. E dopo giorni di guerriglia dipietrista contro l’indulto, ieri è stato il turno di Oliviero Diliberto: all’ora di pranzo, il segretario Pdci si alza in aula: «Si è passato il limite, non possiamo votare questo indulto: quindi ci asteniamo», annuncia. «Ma guarda tu ’sto cazz’e’ sbirro!», esplode il no global Caruso.
Fassino ha un sussulto e si rivolge al dl Gianclaudio Bressa: «Hai sentito? Questo dice che si astiene! Così salta tutto». Bressa, vice di Franceschini alla guida dell’Ulivo, è caduto dalle nuvole: «Ma se ho parlato stamattina alle 9.30 col capogruppo del Pdci, Sgobio, e mi ha detto che il loro sì era assicurato!». Un colpo a sorpresa (maturato, secondo i maligni, perché Diliberto ha alle costole Marco Rizzo, che punta a soffiargli la segreteria e da giorni inveisce contro l’indulto), che ha fatto infuriare i leader dell’Unione gettandoli nel panico, anche perché con la defezione del Pdci si è improvvisamente concretizzato il rischio di non raggiungere il quorum. Franceschini si è precipitato al banco di Diliberto: «Ma che volete fare, siete impazziti?». Sprezzante la risposta: «Così imparate a fare gli accordi con Rifondazione...». L’Ulivo ha fatto partire la caccia al deputato, per non far mancare alcun voto, chiamando a raccolta tutti i ministri, compreso il premier che è dovuto venire a pigiare il bottone a favore di un indulto (e di un’intesa con la Cdl) che non gli piaceva, come non ha mancato di far trapelare. Tanto da irritare i leader ulivisti, che hanno fatto presente a Prodi che non era il caso che il capo del governo lasciasse intendere di dissociarsi dall’operazione: «Sei stato proprio tu a parlare di necessità di un gesto di clemenza, nelle tue dichiarazioni programmatiche», gli hanno ricordato. Sollecitandolo a tirare le redini all’invasato Di Pietro: «Sta veramente oltrepassando il segno». Nel frattempo Fassino stoppava Violante, guastatore anti-indulto nei ds: «Ora basta, abbiamo fatto un accordo e la legge deve passare così com’è». Prodi ha convocato il ministro mercoledì sera, ci ha parlato a quattr’occhi chiedendogli di abbassare i toni, ma il risultato è stato un buco nell’acqua perché il giorno dopo l’ex Pm era di nuovo sulle barricate a urlare in piazza contro il «patto scellerato» approvato da un Parlamento «sordo e cieco». Coadiuvato da Leoluca Orlando, che in aula si è scagliato contro il Prc Forgione: «Mi meraviglia che tu, candidato alla presidenza della Commissione Antimafia, sostenga l’indulto per il voto di scambio mafioso». Vendetta personale, spiegano gli addetti ai lavori: Orlando, sfumata una poltrona ministeriale, puntava proprio all’Antimafia ma è stato respinto con perdite.

In aula la Cdl chiede le dimissioni di Di Pietro, e Franceschini riconosce: «C’è un problema Di Pietro che la maggioranza deve affrontare». E Fassino attacca: «Le dimissioni sono una cosa seria: quando uno le annuncia poi dovrebbe avere la coerenza di darle». Ma il segretario dei ds si rende conto che il problema va ben al di là di Di Pietro.

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