Di Pietro mette la retromarcia dopo la minaccia di Bersani

Di Pietro mette la retromarcia dopo la minaccia di Bersani

RomaAntonio Di Pietro fa una mezza inversione di marcia sulla strada verso l’opposizione e annuncia il suo appoggio, condizionato e a tempo, a un esecutivo guidato da Mario Monti. «Se è vero come è vero che i mercati non possono aspettare, Monti potrà fare quegli interventi di urgenza che vogliamo sapere nel merito quali sono e non devono essere macelleria sociale. Però ci deve essere chiarezza sui tempi entro cui andare alle elezioni con una nuova legge elettorale».
Più che all’ex commissario europeo in corsa per Palazzo Chigi - che con tutta probabilità preferirebbe non averlo tra i piedi - il favore di Pietro lo ha fatto a se stesso e, particolare meno scontato, a Pier Luigi Bersani che è alle prese con malumori crescenti nella base del suo partito e teme la concorrenza di Idv. Tanto che ieri ha dato un ultimatum a Tonino: «Pronti a prenderci le nostre responsabilità. Chi si sottrae ne risponderà».
I leader di Italia dei Valori ha posto condizioni che complicheranno ulteriormente le trattative. Nessuna «fiducia al buio. Chiedo chiarezza su qual è la composizione di governo, qual è la programma o la coalizione». Quindi no a un programma fotocopia della lettera Bce. Una grana per Monti. Poi: «Se tecnico è, tecnico deve essere e non un governo composto da coloro che ci hanno già governato e di cui finora abbiamo contestato ogni azione». Gatta da pelare nuovamente per il futuro premier incaricato, ma anche per il Pdl e per chi più in generale preferisce ministri politici. Dal punto di vista dei voti cambia poco. Italia dei Valori non è determinante, tanto che lo stesso Di Pietro si riserva la possibilità di non votare quello che non gli piace.
Cambia invece lo scenario per il Partito democratico. Ieri in via Sant’Andrea delle Fratte hanno tirato un mezzo sospiro di sollievo. Il vertice del Pd è unito (restano piccole crepe, comunque meno rispetto a quelle del centrodestra) sulla linea ufficiale, cioè sostegno a Monti. Anche se nella ultima versione di Bersani è che non dovrà arrivare a fine legislatura. «Ci vuole una transizione, poi la ricostruzione andrà fatta dopo il passaggio elettorale che comunque in ogni caso non è lontanissimo».
Il fatto è che tra iscritti, simpatizzanti, blogger e seguaci di area nei network sociali non sono pochi gli scontenti. Ieri i militanti si sono sfogati nella pagina Facebook di Bersani. Alberto Massazza gli chiede «come la mettiamo se, come si dice, si dovesse sostenere un governo con Nitto Palma, Gelmini, Frattini e Letta? Che fine farebbero le riforme dal basso che si stanno promettendo congiuntamente con Idv e Sel? Chi sarebbe il traditore e l’irresponsabile di fronte all’elettorato di sinistra? Non è Monti l’uomo delle riforme di sinistra».
Maurizio Migliaccio sposa la tesi dei governi scelti dagli elettori. Non «questo Monti che viene calato dall’alto per commissariare l’Italia» che «mi par tutto, fuori che risultato di un processo democratico». Un altro militante si rivolge ad Anna Finocchiaro che ieri ha dato l’aut aut ai dipietristi («Se l’Idv dirà no al governo Monti ci saranno conseguenze sull’alleanza con il Pd»): «Alleatevi con l’Udc, poi ci sarà da ridere».
Una valanga di critiche di sinistra a Monti e alla scelta del Pd anche su Twitter, grazie a Servizio Pubblico di Santoro che ha lanciato un paio di sondaggi on line, finiti chiaramente a sfavore del candidato.
La Rete non è tutto, ma sono piccoli segnali che danno corpo ai timori del Pd.

Il capitale di fedeltà accumulato in anni di politica iper polarizzata rischia di venire compromesso quando (e se) sarà diffusa la classica foto al Quirinale dopo il giuramento del governo, con ministri Pd e Pdl fianco a financo. E può dissolversi del tutto quando l’ex commissario europeo inizierà a fare il suo mestiere, cioè applicare la lettera della Bce e le indicazioni di Bruxelles su lavoro, previdenza, statali.

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