Di Pietro, il re dei trasformisti Dice tutto e il contrario di tutto

Ecco le sue contraddizioni da Mani pulite al G8 fino agli immigrati. Adesso urala al "rischio xenofobia" ma definiva le ronde un "dovere" Paga il partito? Per la tinteggiatura spende 10 volte di più

Di Pietro, il re dei trasformisti 
Dice tutto e il contrario di tutto

di Paolo Bracalini e Gian Marco Chiocci

Basterebbe quel fotogramma lì, il nuovo leader della Resistenza Antonio Di Pietro coi brandelli di torta spiaccicata in faccia al Bagaglino, per raccontare tutto il Tonino trasformista in una sola immagine. Con l’aggiunta di una brevissima didascalia però, una frase del medesimo Di Pietro, solo qualche tempo prima: «Un politico serio va in Parlamento, non al Bagaglino». Impagabile, Tonino. Trasformista da Olimpiadi. Leader per tutte le stagioni di un partito gonfiabile, da riempire con opinioni qualsiasi purché convengano, a seconda delle alleanze e delle mire elettorali.
Non c’è materia in cui Di Pietro non si sia contorto dal sì al no e viceversa, andata e ritorno più volte, nel giro anche di poche ore, tanto nessuno ci fa caso. Lancia il Di Pietro, e poi nasconde la mano. L’ultimissima è quella sul governo xenofobo perché respinge i clandestini. Era proprio indignato il multiculturalista Di Pietro, l’altro giorno: «Questo governo vuole trasformare il nostro Paese in un Paese dell’intolleranza, un Paese fascista, xenofobo, razzista. Già immagino le ronde di partito per difendere la razza ariana contro il nero». Attenti perché questo è Di Pietro in versione primavera-estate 2009, da qualche tempo infatti si è travestito da uomo di sinistra, operaista, portavoce delle fabbriche e degli oppressi. Due anni fa però indossava un’altra mise, quella dell’uomo d’ordine e di destra, ovviamente però ben accomodato sulla poltrona di ministro in un governo di sinistra. Ed eccolo lì a dire, nel 2007: «Non vi è cosa più urgente della sicurezza dei cittadini, specie per colpa della criminalità conseguente alla immigrazione clandestina. L’Italia soffre di un vizio di europeismo all’impazzata, che rischia di far diventare le nostre periferie come Bagdad». Sembrava Borghezio. Si diano un’occhiata i marxisti Vattimo e Tranfaglia alla proposta di legge firmata dai deputati Idv nel settembre 2007. Roba da Liga Veneta. Proponevano, i dipietristi in versione Law & Order, l’istituzione dei Cia, dei Centri di identificazione amministrativa, prima di spedire i clandestini nei Cpt (quelli che ora si chiamano Cie). E nei Cie dipietristi che succederebbe? I clandestini vanno analizzati con «l’esame del Dna, della retina, con rilievi fotodattiloscopici», per schedarli. Lo proponesse il governo adesso, Di Pietro evocherebbe Goebbels. Grande Tonino.
E sul referendum elettorale? Tripla giravolta carpiata. È riuscito a farsi prendere in giro anche dall’amica Unità in un corsivo al curaro. Partendo da due citazioni del Nostro: «Il sì al referendum favorirà il superamento della porcata di Calderoli» (concetto espresso nel giugno 2008), seguito a ruota da quest’altro ragionamento, fresco di pochi giorni: «Il sì al referendum elettorale consegna definitivamente tutta l’Italia al ducetto Berlusconi». L’Unità è rimasta allibita: «Non è mai successo nella storia politica di questo Paese che chi promuove un referendum poi faccia campagna perché fallisca» ha scritto il giornale di Concita. Ma che volete, Di Pietro è un innovatore. Ha fatto risvegliare anche Mario Segni, che su Repubblica ha spiegato la giravolta di Tonino: «Lo fa per rubare i voti al Pd». Ma dai?
Capitolo elezioni europee, altri mirabili trasformismi di Tonino, qui da dividere in due paragrafi. Il primo sullo sbarramento del 4% per falciare i partitini. Bene. Di Pietro, nell’arco di 24 ore (record forse mondiale), è passato dal sì al no e poi ancora al sì. Lunedì 2 febbraio, ore 19.11, esce dall’esecutivo nazionale dell’Idv e spiega ai cronisti che il suo partito «non si opporrà allo sbarramento del 4% alle Europee». Il giorno dopo l’Ansa registra alle 12.30 che Di Pietro non vorrebbe lo sbarramento, perché lo vogliono Pd e Pdl. Poi alle 20 si vota alla Camera. E cosa fa l’Idv? Vota sì allo sbarramento. Tre inversioni a U nel giro di un giorno. Inarrivabile, Tonino.
Il secondo, sempre sulle Europee, riguarda Berlusconi. Quando il Pdl ha detto che il premier con altri ministri si sarebbe candidato capolista, Di Pietro ha suonato l’allarme democratico: «Gesto degno della disonestà di un corruttore. Si sa già che non andranno a Strasburgo anche se eletti». Bene, ma poi che ha fatto? Si è candidato anche lui capolista, lui che è onorevole e sa già che non andrà mai a Strasburgo anche se eletto. Ha pure rinfacciato a Franceschini di non essersi messo anche lui a capolista: «Chi sta all’opposizione ha il dovere di candidarsi», ha spiegato il leader Idv. Tonino, number one.
Come osserva Alberico Giostra nel suo Tribuno edito da Castelvecchi, l’ondivago molisano s’è smentito senza ritegno. «Persino su Mani pulite, il suo totem ideologico, è arrivato a sostenere che ha danneggiato l’economia, ha inoltre criticato la pubblicizzazione degli avvisi di garanzia e l’eccessivo ricorso ai pentiti, era contrarissimo allo sciopero dei magistrati e di colpo ne è diventato un fautore». Già, Tonino. Negli anni ha criticato il referendum sull’articolo 18 eppoi ne è diventato un paladino. Ha sostenuto il bombardamento della Nato sulla Serbia chiedendo che non fossero interrotti gli attacchi nemmeno il giorno di Pasqua e poi di colpo ha urlato contro l’aggressione alla popolazione inerme (voleva bagnarsi in Adriatico e spargere fiori bianchi tra i flutti). Era favorevole all’invio delle truppe italiane in Irak («l’Idv condivide le ragioni per le quali il governo Berlusconi ha dichiarato che vuole inviare strutture assistenziali e militari in aiuto al popolo iracheno e si augura che la missione possa raggiungere gli obiettivi precostituiti») e poi - dopo l’incontro fatale con Occhetto - ha straparlato come un no global: «La guerra in Irak va definita come un’occupazione e su questo l’Ulivo dovrebbe essere coerente e dire no». Aveva le idee talmente chiare sul conflitto che esponeva contemporaneamente la bandiera arcobaleno e quella americana. Tra Bush e Saddam diceva di preferire Bush: poi, dopo Abu Ghraib, ha chiesto le dimissioni di George. Con Arafat ancora in vita, spinse l’Unione Europea a indagare sull’uso che il leader arabo faceva dei fondi comunitari. Quindi ne perorò la causa denunciando «che da tre anni» Yasser era «sepolto vivo» a Gaza dalle truppe israeliane, definendo «criminali» le dichiarazioni del premier ebraico Sharon.
Sul fronte energetico la confusione ideologica è totale. Prima ha sostenuto la necessità di centrali nucleari e adesso è contrario, ha messo l’eolico tra i 12 punti del suo programma per le Europee ma in Molise ha bloccato una centrale che avrebbe dato energia pulita a 120mila famiglie. Sulle ronde, ad aprile 2008, apriva alla Lega. Oggi parla di razzismo fai da te. Indagato a Brescia, nel gennaio ’96 chiede di limitare l’uso delle intercettazioni per evitare di «essere messo alla gogna da parte dei mass media desiderosi di pettegolezzi». In quindici anni ha maturato la convinzione che a cominciare da Fassino e D’Alema «le intercettazioni vanno utilizzate nei confronti di tutti». Nel settembre ’99 si dice contrario alla proposta di soluzione di Tangentopoli avanzata dai Ds. Un mese dopo conferma di essere favorevole alla commissione d’inchiesta perché «l’unico modo per imbrigliare i potenti di Tangentopoli alle loro responsabilità politiche e non permettere che ora essi si trasformino inopinatamente in vittime dei magistrati è quello di stare al gioco e vedere le carte». Passano pochi giorni, e il 2 febbraio 2000, si rimangia tutto: «Chi ha lanciato l’idea dell’istituzione di una commissione parlamentare su Tangentopoli lo ha fatto proprio per rimettere in discussione il risultato positivo di Mani pulite e così creare i presupposti per un’amnistia generalizzata». Sulla commissione d’inchiesta per il G8 di Genova ha detto tutto e il contrario di tutto, cambiando ancora idea dopo un rimbrotto di Travaglio.

Parlò di «mandanti nel sindacato» per l’omicidio D’Antona, e si fece autosmentire dal Pd. Credeteci, non basterebbero altre dieci pagine di giornale per raccontarle tutte le capriole di Tonino. Accontentatevi di queste due.

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