da Roma
Sarà che i sondaggi dellItalia dei Valori non sono un granché, sarà che laccusa di essere un baby-pensionato della magistratura gli brucia, sta di fatto che Tonino Di Pietro si sta scatenando. E lalleato (unico) del Pd batte sul suo tasto preferito, quello che Veltroni ha scelto di non toccare in campagna elettorale: lantiberlusconismo.
È il ruolo che si è scelto per cercare di pescare voti nel popolo dei «vaffa» di Beppe Grillo e in quello dei girotondini accaniti, un segmento di elettorato che Walter Veltroni ha scelto di non inseguire in questa campagna elettorale.
E dunque giù con Mediaset che è da «smembrare», con Rete4 che va spedita sul satellite, con il conflitto di interessi su cui il centrosinistra «è stato latitante», con Alitalia su cui Berlusconi fa «insider trading». Antonio Di Pietro inizia di buon mattino con una intervista allUnità, e spiega che «bisogna togliere una rete a Mediaset, sanando una illegalità», come ha sancito la Corte di giustizia europea. E il fatto che non sia ancora stata sanata «è una cosa che fa vergogna al nostro Paese, perché sta lì a dimostrare che le istituzioni italiane non sono in grado di far rispettare la legge». Che poi tra quelle istituzioni ci sia proprio il governo di cui lui fa parte, poco male. Anzi, lex pm picchia anche sullesecutivo Prodi: «Se stando al governo noi avessimo provveduto, nei primi cento giorni, ad abrogare le leggi vergogna e il conflitto di interessi, e ad approvare la riforma radio-tv, tante cose sarebbero andate in modo diverso». Ma ora «basta tergiversare, o finiremo cornuti e mazziati». E di una cosa Di Pietro è convinto: «Affrontando di petto questi temi, noi rilanciamo la credibilità del programma e dellazione di Veltroni».
Stavolta, in verità, il ministro delle Infrastrutture sta bene attento a non esagerare, come gli era capitato qualche mese fa quando aveva tuonato che a Mediaset andavano tolte due reti, e si era preso le reprimende di Veltroni che lo aveva richiamato al programma sottoscritto con il Pd. Nel quale non cè traccia di spedizioni punitive. Ma lexploit di Di Pietro viene accolto dal Pd con un muro di silenzio. Rotto solo da Paolo Gentiloni, titolare del ministero delle Comunicazioni e del ddl di riforma della tv, che bacchetta il collega: «Smembrare Mediaset? No, questa è una parola che non mi piace assolutamente». E spiega: «Levoluzione verso la tecnologia digitale consente facilmente una modifica della situazione attuale: basta che i due più grandi operatori trasferiscano una rete a testa sul digitale, liberando le frequenze. Si può fare senza smembrare niente».
Roberto Cuillo, vice responsabile informazione del Pd, prende anche lui le distanze: «Perché mai smembrare Mediaset? Il problema non è punire questo o quello o fare leggi anti-Berlusconi, ma ridare un po di pluralismo al sistema e far entrare nuovi soggetti sul mercato». Quanto a Rete4, «cè una sentenza della Corte europea che dà ragione a Italia 7, che non ha mai chiesto di spegnere la rete Mediaset ma solo di ridare le frequenze a chi ne ha diritto».
Nel frattempo, però, Antonio Di Pietro torna alla carica, irritato dalle frenate del Pd: «Noi non siamo degli yesmen - manda a dire a Veltroni -, non siamo un partito da annettere, siamo degli alleati». Certo, «daremo tutto lappoggio possibile al Pd, perché per noi la parola data è un macigno e il programma è un vangelo.
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