È l’ora di Tonino Di Pietro. Abituato a tenere il piede in più calzature, il che gli consente di avere a disposizione parecchie scatole di scarpe con cui restituire i prestiti, mette a punto la strategia di sostenitore/oppositore del governo Monti. E siccome siamo alla vigilia del ventesimo anniversario di Mani pulite, l’ex pm rispolvera il vecchio sistema. Avvertimenti. Segnali. Messaggi in codice. Leggere l’intervista di ieri al Quotidiano nazionale per credere. A partire dal titolo: «Presto un nuovo ’92 porterà al voto». Dove si condensa tutta una serie di previsioni: le tangenti, le inchieste, le manette, un’altra classe politica spazzata via, partiti cancellati, nuove elezioni purificatrici.
Vent’anni fa non gli andò bene. Il pool di Milano voleva ripulire l’Italia, moralizzarla. Si mosse a senso unico, colpendo Dc e Psi ma salvando il Pci, come oggi riconosce anche un insospettabile come l’ingegner Carlo De Benedetti. Adesso il clima sociale è teso come quando Giuliano Amato alleggerì i conti in banca degli italiani. La politica è da anni sotto accusa. Molti si chiedono se sta per scatenarsi un’altra bufera come quella che dal Palazzo di giustizia di Milano squassò il Paese. Tonino non ha dubbi.
A chi sono indirizzate le allusioni nemmeno troppo velate del leader dell’Italia dei valori? Verso il Pdl, in particolare uno dei suoi uomini più rappresentativi, il governatore lombardo Roberto Formigoni. «Ho le antenne lunghe, io», rivela Tonino. E che cosa hanno captato? «Ho sentito il discorso di Bossi a Milano». Capirai, basta collegarsi a internet da qualsiasi angolo del mondo. «E ho captato i rumors sulla regione Lombardia...». Ecco le fonti dell’ex magistrato che ha terrorizzato la classe dirigente italiana: non atti giudiziari, provvedimenti, dati di fatto, ma i «rumors», le voci, i pettegolezzi.
Dunque, le chiacchiere dicono «che siamo solo all’inizio. Esattamente vent’anni fa, il 17 febbraio, Mario Chiesa veniva arrestato e Craxi lo definì un “mariuolo” pensando di potersi salvare». Formigoni come Craxi: ecco il biglietto messo in bottiglia da Tonino e affidato al mare magnum della carta stampata. «Altro che “fatti singoli e personali”, qui siamo alla resa dei conti giudiziaria e politica. Molta gente sta parlando e si scoprirà presto che quello era un sistema». Quello di Di Pietro è un vero bacio della morte per la giunta lombarda: «In Lombardia la situazione è compromessa e credo che si dovrà votare entro l’anno». Il destino è segnato, la fine è vicina, Formigoni non ha scampo, parola dell’uomo che lapidò la Prima Repubblica.
Non è finita. La rete di dicerie gettata da Tonino riserva altre sorprese. «Il sistema lombardo vigeva e vige anche a Roma, a Palermo...», dice. Attenzione, dunque: l’occhio lungo e il grande orecchio del guru dell’Italia dei valori capta terremoti a catena. Il raggio degli avvertimenti infausti è molto esteso. Esso abbraccia un orizzonte che non è soltanto geografico. Roma è il cuore della politica, la sede dei palazzi del potere. E allora ce n’è anche per Mario Monti. «Tra poco ci saranno le amministrative - rivela Di Pietro -. Se Bossi vuole vincere dovrà allearsi con Berlusconi che dovrà staccare la spina a Monti». E due: anche il premier varesino (come il Senatùr) ha i giorni contati. Ha varato «un decreto equilibrista scritto con spirito democristiano»: e sappiamo quale fine abbia fatto la Dc dopo la «cura Di Pietro».
Nemmeno il presidente del consiglio è esentato da consigli sinistri: «Credo che Monti farebbe meglio a decidere di vivere un giorno da leone, perché non è detto che possa viverne cento da pecora». Insomma, anche per il salvatore della patria è arrivato il momento degli scongiuri. Perché Tonino non si limita ai paragoni con il mondo agreste, a lui così familiare. La sventagliata contro l’esecutivo è ampia. «Non ci piacciono le liberalizzazioni finte. Sulle banche si tratta solo di belle parole. Il governo costringe tutti, anche i pensionati, ad aprire un conto corrente». Un favore alle banche?, s’interroga l’intervistatore. «A me no di certo», ribatte Di Pietro.
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