Necessaria premessa: quando si parla di crescita o recessione va sempre considerato il contesto internazionale. A parte casi eccezionali se l'economia europea rallenta, non si può pensare che un grande Paese, con problemi strutturali come il nostro possa andare in decisa controtendenza. Non per questo però ci si deve rassegnare. Cominciamo con i dati: le stime Istat pubblicate ieri parlano di una crescita zero anno su anno, un dato decisamente brutto e che fotografa un Paese sostanzialmente fermo, con evidenti rischi recessivi. Il dato tuttavia non deve sorprendere eccessivamente, l'economia mondiale, che sembrava avviata ad una duratura crescita, si è incrinata esattamente un anno fa, quando è scoppiata negli Stati Uniti la crisi dei mutui subprime. Da allora i listini delle borse mondiali (che anticipano i futuri andamenti dell'economia) hanno subito perdite record e soprattutto si è paurosamente ristretta la propensione delle banche a concedere credito.
Questo è stato solo l'inizio del problema: il prezzo del petrolio, con un movimento senza precedenti è pressoché raddoppiato dall'inizio dell'anno e l'euro si è incredibilmente rafforzato contro le principali valute. Per un Paese come l'Italia, fortemente indebitato, povero di fonti energetiche e con un'economia di esportazione e turistica, se non è stata la tempesta perfetta poco ci manca. Nel secondo trimestre 2007 con il quale l'Istat si confronta, l'indice delle borse europee era più alto del 30%, il petrolio (in dollari) costava la metà e l'euro era deprezzato del 10% contro il dollaro: insomma, un altro mondo. Se questi dati fossero stati anticipati come esercizio accademico l'anno scorso, è probabile che la maggior parte degli economisti li avrebbe considerati assurdi, ma prendendoli buoni a titolo di ipotesi avrebbe fatto la firma per una «semplice» crescita zero date condizioni simili.
Tuttavia le speranze ci sono: nell'ultimo mese le variabili macroeconomiche hanno cominciato a girarsi per il verso giusto. Il dollaro ha ricominciato a salire, ridando fiato alle nostre esportazioni e il petrolio ha corretto alcuni eccessi alleggerendo in prospettiva la nostra bolletta. Lasciarsi semplicemente trascinare dalla congiuntura sarebbe però un grave errore. L'Italia ha margini di manovra ristretti, è vero, ma qualcosa si può fare: tagliare le spese improduttive e riqualificare tale spesa verso infrastrutture e attività a valore aggiunto può portare alla fine un saldo positivo in termini di Pil. Si tratta di un esercizio difficile, ma il Governo ha iniziato con il piede giusto, vale a dire con il lato più difficile della manovra, cioè il taglio delle spese.
Non dimentichiamo che il trimestre analizzato dall'Istat si riferisce in pratica ad un periodo di vuoto di potere, dato che il governo è entrato in carica a maggio, quindi la parte di «costruzione» dopo la parte «distruttiva» dei tagli deve ancora venire. Si tratta di un passaggio stretto, di certo non ci sono «tesoretti» lasciati in eredità dal governo precedente né contesti internazionali benigni come quelli che consentirono al centrosinistra di millantare risultati anche prima di qualsiasi provvedimento economico (il decreto Bersani fu annunciato il 30 giugno 2006), tuttavia è possibile farcela.
Abbiamo un'industria che è riuscita a farsi valere anche in questo contesto disastroso come dimostrano i riconoscimenti di eccellenza di alcuni nostri settori importanti. È ora di fare sistema e di far ripartire un motore fermo da troppo tempo.
Claudio Borghi
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