Pillola abortiva, giro di vite del governo

Maggiori vincoli all’importazione di medicine non registrate in Italia

Francesca Angeli

da Roma

«Non si può somministrare la RU486 per motivi politici, non si scherza sulla pelle delle donne». A dirlo è il ministro della Salute, Francesco Storace, che ha deciso di sbarrare la strada alla RU486, la pillola abortiva non registrata in Italia ma liberamente commercializzata in molti paesi Ue. È proprio dalla Francia, dove la RU486 viene venduta in farmacia, che lungo lo scorso anno è arrivata la pillola richiesta da alcune aziende sanitarie italiane con una procedura che ora il governo intende irrigidire.
Storace infatti annuncia che modificherà il decreto del 1997 che regolamenta l’acquisto dei farmaci non registrati in Italia, rendendo più difficile la sua importazione con l’imposizione di norme più severe. Una decisione sicuramente clamorosa presa su un terreno già minato dalle polemiche sulla 194 e che scatena reazioni durissime contro il ministro da parte dell’opposizione ma anche di medici e associazioni di cittadini.
Storace però tira dritto per la sua strada nella convinzione di agire in difesa della salute delle donne. «Il provvedimento si è reso necessario - denuncia il ministro - perchè alcune regioni, ad esempio la Toscana, per quanto riguarda proprio l’importazione della RU486, stanno aggirando le norme per l’ingresso di farmaci non in commercio nel nostro paese».
Storace aveva già denunciato qualche settimana fa che la battaglia a favore della pillola abortiva soprattutto da parte di alcune regioni era strumentale e altamente politicizzata. «Dal ’97 al 31 dicembre 2004 sono arrivati in Italia circa diecimila confezioni di farmaci e tra queste non c’era neppure una confezione di pillole RU486 - denuncia il ministro -. Tutte le richieste si sono scatenate nel 2005. Oltretutto il 90 per cento di richieste arriva dalla Toscana e il 55 per cento da un solo medico di una stessa Asl».
Storace non fa nomi e cognomi ma quel medico ha un volto noto anche perchè non si è mai nascosto. Anzi ha partecipato a dibattiti pubblici organizzati dai radicali sul tema: si tratta di Massimo Srebot di Pontedera che fa capo alla Asl 5 di Pisa.
Insomma, attacca il ministro, grazie alle richieste di quella Asl, «La Toscana è diventata la regina dell’incentivo all’aborto». Il ragionamento di Storace non fa una piega: quella pillola nei paesi Ue è in commercio da anni ma in Italia si sono svegliati soltanto lo scorso anno e in particolare da quando al ministero si è insediato un politico da sempre impegnato per la prevenzione dell’aborto. Ecco perchè il governo vuole rimettere mano a quel decreto del ’97.
«Saranno poste condizioni più stringenti - spiega il ministro -. All’atto del nulla osta gli uffici chiederanno le motivazioni cliniche ed epidemiologiche per l’acquisto di farmaci non registrati in Italia». Ogni richiesta andrà motivata, prosegue Storace, «a tutela della salute della donna perchè c’è chi sta scherzando con la loro salute» per l’uso della RU486 dovrà essere dimostrata «una necessità, un bisogno effettivo, non può essere una richiesta per motivi politici». Infine il ministro ricorda che molti studi hanno evidenziato i rischi della pillola abortiva che in alcuni paesi «ha avuto esiti letali».
Al fianco di Storace nella sua battaglia contro la pillola abortiva si schiera compatta la Casa delle libertà. «Chi contesta Storace vuole che l’esigenza di evitare che la salute della donna sia esposta a rischi venga sacrificata sull’altare dell’ideologia», dice il senatore Riccardo Pedrizzi, responsabile nazionale di An per le politiche della famiglia.
Contro Storace il centrosinistra e il leader radicale Daniele Capezzone. «Che senso ha questa guerra civile aizzata irresponsabilmente da un ministro che vuole impedire alle donne italiane quel che è consentito alle donne di tutta Europa? - si chiede Capezzone - Storace vuole imbastire una campagna elettorale sulla pelle delle donne».


Perplesso anche Giuseppe Fioroni della Margherita che chiede semmai un provvedimento mirato, osservando che «ci sono migliaia di pazienti affetti da cancro o altre patologie che aspettano dall'estero farmaci non acquistabili in Italia ma che possono salvargli la vita e che in questo modo rischieranno di non averli per tempo».

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