La pillola che Fassino non sa rendere dolce

La pillola che Fassino non sa rendere dolce

A darne conto è stato - in un editoriale del Riformista - il direttore, Paolo Franchi, autorevole giornalista politico, che di frequente viene chiamato a guidare dibattiti non di rado impegnativi. E tale deve essere stato quello della Festa dell'Unità se il Franchi, uomo di una sinistra ragionevole, ne ha tratto una impressione profonda, tanto da farne oggetto di una riflessione che tradisce un qualche turbamento.
Nel dibattito, va premesso, si era parlato di tutto: della politica estera, della guerra mediorientale, della politica economica. Su questi argomenti il dialogo si era svolto in modo tranquillo, come è in questi incontri fra il segretario di un partito e i suoi sodali. Il clima, racconta Paolo Franchi, cambiò bruscamente, non appena si passò a trattare dell'indulto. I discorsi, e i toni, si fecero subito polemici, a tratti aggressivi.
Insomma, la platea dei post comunisti non riusciva a mandare giù il provvedimento nonostante i toni usati da Fassino: atto di clemenza, atto di giustizia nei confronti di chi, avendo commesso una colpa, è condannato a una pena che, per ragioni note (sovraffollamento, arcaicità delle strutture) finisce per assumere toni inumani. Infine, un atto di clemenza per «gli ultimi del nostro mondo» che tali sono nella gran parte coloro che finiscono nelle nostre carceri.
Ora si sa che di ogni atto di clemenza, a beneficiare non sono figure popolari, sono ladri, rapinatori, perfino omicidi. Ma a indignare i presenti era la preoccupazione che fra i tanti rimessi in libertà ci fosse qualche «colletto bianco», autore di reati finanziari e simili. E non convincevano gli argomenti di Fassino, secondo il quale nelle carceri di costoro non se ne contano poi molti. E che, in ogni caso non era giusto condizionare a questi pochi un beneficio che riguardava per la grandissima parte reati minimi: furtarelli, piccolo spaccio, extracomunitari senza permesso di soggiorno e simili.
La furia delle contestazioni suggeriva a Franchi una riflessione: «Giurerei che se invece che di indulto si fosse parlato di pensione e di salari, se Fassino avesse fatto suo il linguaggio dei sacrifici più duri, le proteste degli astanti sarebbero state assai meno esagitate... e mi sono chiesto chi fossero i contestatori, da quale storia venissero, che idea di sinistra si portassero nel cuore».
Ottima domanda, per la quale si può azzardare qualche risposta.
Intanto nella storia del comunismo dalla quale proviene il partito in esame c'è di tutto: ci sono utopie generose e c'è la violenza rivoluzionaria come levatrice della storia eccetera.
Per venire a cose più vicine, la caccia al «colletto bianco», ai «reati finanziari», rinviano al periodo di Mani Pulite, che aprì ai partiti superstiti, come quello di Occhetto, pascoli infiniti
La bufera giudiziaria di Tangentopoli viene vissuta da allora, da una certa sinistra, come la legittimazione di un potere al quale non ha mai corrisposto un adeguato consenso popolare. La risposta che Paolo Franchi va cercando, è forse tutta qui.
a.

gismondi@tin.it

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