PIO XI E PACELLI La censura che non c’era

In realtà il Segretario di Stato non poteva pubblicare il pensiero di un pontefice morto Ma il testo non fu mai distrutto. E ancora oggi lo si può leggere...

«Pacelli elimina l’ultimo discorso di Pio XI»: con queste parole la storica Emma Fattorini ha aperto nei giorni scorsi l’ennesimo caso su Pio XII, il Pontefice vittima di una denigratoria leggenda nera, sostenendo che da cardinale e principale collaboratore di Papa Ratti, nel febbraio 1939, avrebbe fatto sparire in fretta e furia un testo papale molto forte contro il fascismo, che sarebbe stato pronunciato in occasione del decennale dei Patti Lateranensi davanti a tutti i vescovi d’Italia. Ma che il Papa non poté pronunciare perché morì. La tesi che l’autrice sostiene è quella della contrapposizione tra Pio XI e il suo Segretario di Stato che di lì a qualche giorno gli sarebbe succeduto sul trono di Pietro ormai alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Fattorini scrive tutto questo nel suo ultimo libro (Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, Einaudi), pubblicando la versione integrale della bozza del discorso – i cui passaggi salienti erano peraltro già noti fin dal 1959 – e un appunto di monsignor Domenico Tardini nel quale si riferisce quest’ordine di Pacelli: «Che monsignor Confalonieri (il segretario del Papa, ndr) consegni tutto quel materiale che ha circa il discorso che il Santissimo Padre Pio XI aveva preparato per la adunanza dell’11 febbraio; che la tipografia distrugga tutto il materiale che ha (bozze, piombi) sullo stesso discorso».
Da questo particolare l’autrice, e il quotidiano Il Sole 24Ore che ne ha anticipato il contenuto domenica scorsa, hanno tratto le conclusioni: Pacelli ha censurato Pio XI. Sul quotidiano della Confindustria il discorso antifascista è stato tra l’altro presentato come un testo contro il nazismo.
Colpisce innanzitutto, in un lavoro scritto da uno storico, l’assenza di riferimenti contestuali che avrebbe aiutato il lettore a farsi un’idea della situazione. Per dimostrare la sua tesi, nel capitolo in questione Emma Fattorini non spiega che Eugenio Pacelli – in quel momento decaduto dall’incarico di Segretario di Stato, ma che in quanto camerlengo aveva il compito di reggere la Sede Vacante insieme agli altri porporati per l’ordinaria amministrazione – doveva comportarsi in quel modo. Pacelli non «distrugge» il discorso o le sue bozze, o gli appunti o le diverse stesure: altrimenti Giovanni XXIII nel 1959, e la Fattorini oggi, non avrebbero potuto rintracciarlo nell’Archivio segreto vaticano. Ciò che il futuro Pio XII fa, e non poteva fare altrimenti, è ordinare la distruzione delle bozze a stampa e dei piombi in tipografia di un testo non ancora corretto e definitivo di un Pontefice defunto. Il Papa era morto, non poteva più pronunciare quel testo, la commemorazione dei Patti Lateranensi era stata cancellata: né Pacelli né nessun altro aveva in quel momento l’autorità di far pubblicare un discorso postumo e non ancora definitivo.
La stessa autrice del libro riconosce che Pio XI era stato lucido fino all’ultimo e fino all’ultimo aveva tenuto al suo fianco il fedelissimo Segretario di Stato Pacelli, che desiderava fortemente come suo successore, avendolo egli stesso dichiarato in più occasioni alla presenza di testimoni. Quel forte discorso antifascista era stato rivisto dallo stesso Pacelli, il quale, come scrive Fattorini (p. 214): apporta solo «correzioni minime, poche e formali» e non tenta «neanche una diversa, meno aggressiva impostazione». Dunque il Papa stesso aveva voluto far rivedere il discorso al suo più fidato collaboratore il quale non dissentiva ma anzi ne aveva autorizzato la pubblicazione alla tipografia vaticana. Pacelli non aveva proposto correzioni, non aveva cassato nulla. Se le linee di Pio XI e di Pacelli erano così diverse, perché mai il Papa – presentato dalla studiosa sempre più isolato e solo – aveva voluto coinvolgere il Segretario di Stato? Non sarebbe bastato impartire al segretario particolare Confalonieri l’ordine di pubblicare il testo tale e quale, senza revisioni? Semplici osservazioni, che il lettore non troverà nelle pagine del libro.
Ma c’è di più. Emma Fattorini riconosce che il discorso antifascista non è inedito, in quanto già Giovanni XXIII, nel febbraio 1959, in occasione del trentennale del Concordato, volle renderne noti ampi stralci commentandolo. Ne fornisce però la versione integrale, scrivendo (p. 212): «I brani del discorso citati da Papa Roncalli, confrontati col testo originale sono del tutto fedeli, anche se ne vengono omessi molti, quelli più duri, che dipingono il regime fascista come una grande e pericolosa centrale che ascolta e spia». Peccato che proprio queste parole durissime sul fascismo che spiava e controllava i vescovi fossero invece già note: «Badate, carissimi fratelli in Cristo, e non dimenticate che bene spesso vi sono osservatori o delatori (dite spie e direte il vero), che, per zelo proprio o per incarico avuto, vi ascoltano per denunciarvi» (cfr. L’Osservatore Romano, 9 febbraio 1959; e Pietro Scoppola, La Chiesa e il fascismo. Documenti e interpretazioni, Roma-Bari, Laterza 1976, pp. 334-341).
Commenta lo storico Matteo Luigi Napolitano: «In quel discorso antifascista, Pio XI affermava: “Ci sono, purtroppo, pseudocattolici che sembrano felici quando credono di scorgere una differenza, una discrepanza, a modo loro (s’intende) fra un vescovo e l’altro, più ancora fra un vescovo e il Papa”. L’importante anche oggi è non rischiare di cadere nello stesso errore contrapponendo un Papa al suo successore».

Mentre la «Catholic Anti-Defamation League» stigmatizza «l’ennesimo tentativo di distorcere la verità con argomentazioni capziose e non supportate da alcuna prova storica» affermando che «la presunta censura da parte di Pacelli è infondata».

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