Pippo e Alex, nostalgie da vecchie glorie

Due in panchina, come al parco. Aria di primavera ma per loro l’autunno è la stagione definitiva. Osservano gli altri divertirsi, ripensano al proprio passato, bei tempi tra scudetti, coppe in ogni dove, gloria, popolo in delirio. Filippo e Alessandro, c’era una volta il loro calcio, stasera si chiude, ultima contro a San Siro, riserve, sostantivo passato di moda come loro medesimi, Inzaghi e Del Piero, presenti nelle figurine e nelle immagini di repertorio, roba bella, vissuta anche insieme, a Torino, mai veramente uniti uno per l’altro, colore della maglietta a parte, divisi da un modo differente di vivere la vita, di frequentare il football e di interpretarlo, faina e cerbiatto, astuzia ed eleganza, comunque gol, tantissimi, quarto cannoniere di sempre del calcio italiano, lo juventino, con 317 reti, subito alle sue spalle, il milanista, 315, i migliori anni della loro vita.
Il football italiano, quello di oggi, non ha memoria, la respinge, la evita, il passato non conta, il campo impone altre scelte, non c’è posto, dalle nostre parti, per la riconoscenza, per il rispetto. Via Maldini, via Rivera, via Mazzola, via Zoff, via Tardelli, via Antognoni, non sono i nomi di nuove strade cittadine intitolate ai campioni ma l’epilogo di carriere che scaldano i collezionisti e gli studiosi del calcio ma non la tribù dei dirigenti contemporanei dediti al business e ignoranti della storia. Fotografie stracciate e cestinate, addirittura ad alcuni è severamente proibito l’ingresso allo stadio che fu teatro delle loro imprese, niente, meglio i procuratori e i capiultràs. In Inghilterra, prima del fischio di inizio delle partite, il pubblico applaude la vecchia gloria che fa da testimone all’evento, la nostalgia di un tempo che è andato e che va tutelato, perché questo dovrebbe essere lo sport, sempre, dovunque. Non in Italia.
Inzaghi e Del Piero sono stati cronaca e storia assieme, ma non conta, i loro contratti prevedono la fine della corsa a giugno, devono scendere, non c’è futuro in area di rigore, non c’è futuro in campo, gli schemi prevedono soluzioni più «intense», la «densità» li esclude, «l’aggressione degli spazi» li taglia fuori, «l’uno contro uno» non può riguardarli. La partita è degli altri, a loro soltanto qualche minuto per non dimenticare, pure con l’umiliazione professionale di un bloc notes o un ipad che spiega loro che fare, come muoversi, dove andare, per i nuovi docenti, infatti, due campioni hanno bisogno di un navigatore satellitare per individuare la porta avversaria o il compagno da servire. È il nuovo football, dicono. Inzaghi ingoia e porta a casa, Del Piero partecipa e mostra la linguaccia, Milan e Juventus hanno altri «progetti», la loro meglio gioventù (balle di propaganda) si prende il posto di lavoro, per Pippo e Ale soltanto l’urlo e l’applauso dei tifosi romantici e affezionati.
Non ci sarà Ibrahimovic ma non ci saranno soprattutto loro due che, a differenza dello svedese, mai si sono resi protagonisti di gesti squallidi e sleali. D’accordo, il gol in fuorigioco, il tuffo inventato, ma è roba di campo, roba di calcio, furbate.

Se soltanto potessero, questa sera allo stadio Mezza di San Siro, Inzaghi e Del Piero porterebbero la loro argenteria personale, così per mostrarla ai deboli di memoria, titoli mondiali per nazione e per club, scudetti, coppe dei campioni, supercoppe europee, coppe italiane, un Louvre del calcio, i trofei vanno elencati ma, assieme, pesati.
Ma a che cosa serve? A nulla. Finito il tempo dei ricordi. Stasera si va al parco, seduti in panchina, riserve di qualcuno, titolari di se stessi, sempre.

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