Piquet jr: «Senna un mito? Se la gente sapesse...»

Il figlio del tre volte iridato, ora in Renault, parla al «Giornale»: «Ayrton non valeva mio padre. Alonso non mi chieda di farlo passare in Brasile»

nostro inviato a Melbourne

Nelsinho Piquet, detto anche junior, ha 22 anni e la faccia indio del padre riveduta e corretta da quella splendida donna di sua madre. All’inizio degli anni Ottanta, Silvia, modella olandese, fu l’altra indiscutibile vittoria di papà Nelson.
Dica, Nelson, quali obiettivi si è prefissato?
«Per la gara, prenderla con calma, non spingere troppo; per il campionato crescere, migliorare. Non strafare».
Si ricorda che cosa combinò, proprio qui, il suo predecessore in Renault, Heikki Kovalainen? Strigliato in mondovisione da Briatore?
«Ricordo e un po’ ci penso. Farò di tutto per non commettere gli stessi sbagli. Starò calmo, attento».
Non è semplice debuttare dopo fenomeno-Hamilton: vicecampione del mondo all’esordio. Qualsiasi cosa lei faccia, sembrerà sempre poco.
«Lewis ha subito avuto una delle auto migliori e tutti, nel team, investivano su di lui, a partire dal capo, che era anche il suo manager. La sua è una storia particolare. Io darò il massimo, però sono consapevole che al momento la nostra Renault non è ancora in grado di vincere».
Alonso per compagno?
«Può insegnarmi molto».
Non teme che con lei si possa ripetere quanto accaduto fra lo spagnolo e Hamilton?
«No, perché qui il team manager sa cosa fare; in quel caso sbagliò chi doveva gestire i piloti».
Quanto a pressione, è uno svantaggio essere al tempo stesso un debuttante e il figlio di un tre volte campione del mondo?
«Penso di no. E comunque sono arrivato in F1 grazie ai miei risultati, al mio lavoro. Ho vinto molto nelle serie minori».
Lei è uno dei pochi giovani piloti che non si porta sempre appresso il padre.
«In fondo un impiegato neoassunto non va mica in riunione col padre...».
Suo padre criticò la Rossa, si scontrò con Ferrari in persona.
«Ovviamente essere un pilota Ferrari sarebbe bello ma, al contrario di altri giovani colleghi, non sono un tifoso del Cavallino... Però questo non dipende da mio padre».
Se la Renault, proprio come la Ferrari con Massa nel 2007, in Brasile, le chiedesse di cedere la vittoria per far diventare campione del mondo il suo compagno?
«Farei del mio meglio per vincere la gara».
E l’interesse del team?
«Darei il massimo per trionfare... Sperando che Fernando capisca che quella è la mia vittoria nel Gp di casa».
Per ovvi motivi lei è l’unico dei piloti brasiliani a non essere cresciuto nel mito di Senna.
«È vero. Tanta gente guarda solo ai risultati conquistati, non fa caso a come uno arriva in F1. Mio padre sudò, non aveva appoggi, mio padre puliva la monoposto di un pilota con cui, tre anni dopo, si ritrovò a lottare per il titolo e a vincerlo... Se la gente sapesse, il 90% cambierebbe idea su Senna e Piquet».
È vero che la F1 la annoiava?
«Sì, a diciassette anni non c’era verso: davanti alla tv mi addormentavo».
Lei, Hamilton, Alonso, Massa, una nuova generazione di piloti?
«I piloti di una volta non erano veloci come noi. Erano più tecnici, più intelligenti perché dovevano preservare il cambio, il motore, le gomme.

Adesso si cercano invece piloti computer capaci, in due ore di qualifiche, di essere sempre velocissimi e non commettere mai errori. Era meno frentico».
Ma più rischioso.
«Anche. Però il pericolo, in ogni epoca, è qualcosa che proprio non entra nella nostra testa».

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