Gol di Muntari, gol di Pirlo. Chissà che roba sarà Milan-Juventus, ma questa è un'altra storia. Qui il caso è curioso, tra reduci e sopravvissuti, perché il ghanese si ritrova protagonista per caso, dopo essere stato fischiato e maltrattato a Milano, due isolati più in là, zona Inter. Sembrava un tram e invece è una utilitaria di uso immediato. Pirlo, poi, viene da una carriera sontuosa al Milan, dopo l'esperienza sbilenca all'Inter ma sta confermando la bontà dell'usato sicuro, quando questo è di qualità, un vintage che non passerà mai di moda se ben tenuto, ben curato, ben pagato. Senza di lui la Juventus sarebbe a scartamento ridotto, senza il piede raffinato del campione (ex) del mondo, certi disegni tattici andrebbero a ramengo.
Roba che nel calcio di alto livello accade da sempre, e in tutti i campionati, dai tempi del "Balilla" Meazza che passò dall'Inter al Milan segnando pure un gol nel derby, come sarebbe accaduto, nei secoli a venire, a Ronaldo e ad altri colleghi calciatori. Luis Figo può raccontare, ad esempio, che cosa abbia significato per lui il passaggio dal Barcellona al Real Madrid, cosa che ha riguardato lo stesso Ronaldo non Cristiano portoghese ma il brasiliano bionico. O lo scozzese Mo Johnston che addirittura osò, primo nella storia di Glasgow, di traslocare dalla chiesa cattolica del Celtic a quella protestante dei Rangers, dopo breve parentesi francese a Nantes. La caterva di gol, da una parte e dall'altra, fece dimenticare la questione di fede.
Perché la maglia è bella, va baciata e difesa ma quando si cambia casa si aprono le finestre e si fa entrare aria fresca. Tornando nel bel paese il giro di dipendenti tra Milano e Torino presenta un elenco chilometrico e di pendolari supermilionari. Ibrahimovic ne è l'esempio, in Inghilterra li chiamano calciatori da autostrada, usano il telepass e sfruttano il casello di uscita migliore: lo svedese, come Serena, li ha utilizzati tutti e tre, Juventus, Inter e Milan, sempre con risultati e stipendi eccellenti, giurando amore eterno, come fanno i marinai, per poi salire a bordo della prima nave all'ormeggio. Un po' come Vieri che, prima di ballare con le stelle, ha danzato nelle squadre migliori, segnando gol e sbattendo porte in faccia a tutte e tre, Juve-Inter-Milan, pure con code tribunalizie.
La giostra è esaurita, il mondo dei professionisti prevede cambi e scambi, l'era romantica delle bandiere è finita, fatte rarissime eccezioni romane e romaniste (ma in passato Ciccio Cordova e Lionello Manfredonia, per dire, fecero il giro delle due sponde del Tevere e Manfredonia passò anche alla Juventus) o gli ultimi drappi di Maldini e di Del Piero, icone dimenticate e malinconiche a tempo scaduto, ma queste sono davvero eccezioni, purtroppo reperti da museo della nostalgia e del collezionismo.
Per tornare a Milan Juventus, sono dieci i calciatori delle due squadre che hanno lavorato per entrambi i club, Abbiati, Zambrotta, Nocerino, Inzaghi, Aquilani, Ibrahimovic, Pirlo, Borriello, Storari e Matri, tutta roba buona, anzi una squadra titolare che, per ragioni di mercato, è stata separata. Spesso i trasferimenti, per essere meno dolorosi, non avvengono in via diretta, si preferisce utilizzare qualche stazione intermediaria ma alla fine l'obiettivo viene raggiunto, in alcuni casi con risultati negativi. I casi di Emerson, dalla Juventus al Milan, via Madrid, di Roberto Baggio, con percorsi difficili sulla tratta Torino-Milano, sono stati esemplari.
Il cambio di casacca intristisce i tifosi e, nel caso opposto, li esalta, quando Aldo Serena passò dal Toro alla Juventus, durante un derby i tifosi granata urlarono «Serena put... l'hai fatto per la grana» e quelli bianconeri, dalla curva opposta, cantarono: «Cucù, cucù, Serena non c'è più».
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