«Io sottoscritto Giuliano Pisapia giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare la Carta costituzionale e le leggi dello Stato e di adempiere ai doveri del mio ufficio per il pubblico bene». Le 17 sono passate da un minuto nella prima seduta del consiglio quando, dopo 18 anni, Milano ha di nuovo un’amministrazione di sinistra. Ché il centro, nella nuova giunta, è ben mimetizzato e venato di cattocomunismo. Mentre in piazza san Fedele davanti al maxischermo centri sociali, occupanti abusivi, clandestini e no-global stanno già presentando il conto. Ingredienti a cui Pisapia aggiunge, nel suo discorso d’insediamento, i ringraziamenti al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano («garante della nostra Costituzione e sostenitore di un rapporto sempre più stretto tra istituzioni e cittadini») e all’arcivescovo Dionigi Tettamanzi («per la sua capacità di destare l’attenzione sui temi dell’accoglienza e della solidarietà»). E «fa bene a ringraziarlo - lo punge il capogruppo della Lega Matteo Salvini - visto che è stato uno degli artefici della sua vittoria. Ma Pisapia non dimentichi che Tettamanzi non è la Chiesa, è una parte della Chiesa».
Padri nobili, dunque, a cui io sindaco aggiunge Carlo Maria Martini. Forse dimenticando quanto il cardinale fu legato a Gabriele Albertini e a quell’amministrazione. Ma non importa, perché nel fantastico mondo di Pisapie il bene è tutto da una parte e il male dall’altra. A prescindere. Non si spiegherebbe altrimenti l’autointerpretazione manichea della sua vittoria come la richiesta dei cittadini di «correttezza nei comportamenti». E perché «la politica riscopra una dimensione etica». Chi ha votato, assicura, «vuole che i loro rappresentanti riconoscano la virtù, cioè il merito, le competenze, le capacità, l’onestà, l’integrità e la generosità verso la città». Come a dire che in 18 anni di amministrazioni di centrodestra nessuno avrebbe posto attenzione alla dimensione etica della politica, all’onestà, all’integrità e alla generosità. Quasi fini a ieri Palazzo Marino sia stato in mano a satrapi immorali o barbari spietati. Parole un po’ forti, sindaco Pisapia. Probabilmente ingiuste. Sicuramente non il miglior modo per partire chiedendo all’opposizione di collaborare. E, infatti, Letizia Moratti che si iscrive per prima a parlare si ribella. Rifiutando questo vae victis, un guai ai vinti che renderebbe ben cupi i prossimo cinque anni. Perché Pisapia non risparmia niente. A partire dalla revisione del Piano di governo del territorio già approvato dalla giunta Moratti e che per «esaminare e valutare le osservazioni presentate da cittadini e associazioni» si impantanerebbe nell’aula di palazzo Marino. Proseguendo con la denuncia di «un andamento assai negativo delle entrate che compromette l’equilibrio di bilancio». Per Letizia Moratti un alibi per possibili aumenti di tariffe e imposte comunali. Solo alla terzultima pagina il tema della sicurezza che va trattata con «la vera priorità metodologica: noi opereremo avendo come faro la cultura della prevenzione».
Per chi non fosse d’accordo? Nessuna speranza. Pisapia cita Seneca e una verità che va detta «solo a chi è disposto a intenderla». La sinistra è tornata a Palazzo Marino. La linea (rossa) è già tracciata. E non è sottile.
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