Guai ai vinti. Il sindaco Giuliano Pisapia fa riprecipitare Milano nella stagione dellideologia e dellodio. In quella distinzione assoluta e assurda tra buoni e cattivi che in qualcuno nemmeno la pietà di fronte alla morte riesce a cancellare. E così ieri, nella sua prima visita al cimitero Maggiore, il sindaco ha fatto netta la sua scelta di campo. Visitando quello della Gloria dove sono sepolti i partigiani e non quello dellOnore che accoglie chi scelse la Repubblica sociale. Un passo indietro, quello dellavvocato rosso, rispetto ai suoi predecessori Gabriele Albertini e Letizia Moratti che rendevano omaggio, seppur in tempi e modi diversi, a tutti i caduti della guerra civile. Impeccabile il protocollo di Albertini che regolarmente presenziava alla cerimonia per i combattenti della Resistenza, indossando la fascia di sindaco. Poi, dopo averla tolta, si dirigeva con passo svelto e incurante delle polemiche, al Campo 10. Una visita privata, rispetto alla presenza ufficiale al campo della Gloria, ispirata alla pietà umana. Ma anche a un sincero desiderio di riconciliazione. Una breve sosta, qualche minuto di raccoglimento davanti alla tomba di Carlo Borsani (padre dellex assessore regionale), cieco di guerra e medaglia doro al valor militare, trucidato dai partigiani il 29 aprile del 1945, a guerra già finita e portato in giro per sfregio su un carretto della spazzatura. Sangue di vinto. Un gesto di pietà fatto a titolo personale, ricordava sempre Albertini per spiegare il suo gesto e distinguerlo nettamente dalla presenza ufficiale alla cerimonia dellaltro campo. Ma anche la Moratti non si sottrasse alla doppia pietà. Visita ad entrambi i campi, ma nessun dubbio sulla sua ortodossia democratica, visto lorgoglio per il papà partigiano. Bianco e non rosso. Testimoniata anche dal fatto che fu proprio lei a pretendere che il capo partigiano Giovanni Pesce fosse ospitato al Famedio. Tra i grandi. E fu proprio la sua giunta a proporre come «segno di riconciliazione» la traslazione di tutti i caduti, sia partigiani che repubblichini, nel sacrario militare di piazza santAmbrogio. Insieme. Un modo, disse la Moratti, per «chiudere un capitolo drammatico e doloroso che ha lasciato ferite e divisioni. La Spagna ci è riuscita, creando un luogo dove i caduti della Guerra civile sono sepolti insieme». La voglia di essere sindaco di tutti i milanesi. Proprio di tutti.
Con Pisapia è tutto da rifare. Il sindaco che è entrato in parlamento nelle liste di Rifondazione comunista, forse lultimo partito che porterà nel simbolo il richiamo a unideologia che tanto odio e sangue ha seminato nel mondo, riporta indietro le lancette della storia. E del buon senso. «La pietà umana dovuta a chi è caduto - diceva ieri - non può far dimenticare i fatti, la storia e le ragioni di chi si è battuto per unItalia migliore». E di fronte a uno scenario di «individualismo esasperato» e di «deriva qualunquista», Pisapia richiama «a riaffermare i principi di solidarietà, tolleranza e coesione sociale e alla libertà di culto e di pensiero per una democrazia sempre più reale». Tolleranza e coesione. Ma non per chi magari ragazzo e in buona fede scelse la parte perdente. E già sconta la condanna della storia, senza bisogno di aggiungere quella di Pisapia.
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