Pista algerina: per Napoli è terrorismo per Brescia è solo delinquenza comune

Convalidati gli arresti dei tre arabi, per il detenuto nel capoluogo campano l’imputazione più grave. Per gli altri due: semplice falsificazione di documenti

Claudia Passa

da Roma

Tre terroristi. Anzi no, uno. Due sono in forse. Sulla convalida dei fermi dei cittadini algerini che avrebbero avuto in animo di compiere un attentato in Italia, le procure interessate si dividono. Per Napoli sono terroristi, per Brescia semplici falsificatori di documenti. Restano comunque tutti in carcere ma la sorte dei nordafricani considerati organici al Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento, non è la stessa.
Yamine Bouhrama, 33 anni, considerato il leader della cellula dormiente, per il gip partenopeo Enrico Ceravone è meritevole dell’appellativo di terrorista. C’è la convalida del fermo con l’accusa di associazione finalizzata al terrorismo internazionale. Non è così per Khaled Serai (35 anni) e Mohamed Larbi (31 anni) che al vaglio giudiziario passano al massimo per falsificatori di documenti e sponsor dell’immigrazione clandestina: niente jihad, niente kamikaze, banali fiancheggiatori al massimo. Stando al ragionamento del gip Roberto Spanò (lo stesso che aveva avuto platealmente da ridire sulla nota decisione del gip milanese Clementina Forleo a proposito della scarcerazione di altri due presunti terroristi islamici) Serai e Larbi non facevano parte di una cellula pronta all’azione, come invece credevano di aver dimostrato i carabinieri del Ros e la Divisione Controterrorismo del Sismi che avevano marcato stretto il terzetto per oltre due anni e mezzo. Ma se i due iter paralleli hanno avuto un esito diverso, nel futuro non è da escludere un riavvicinamento delle posizioni visto che il Gip lombardo si è dichiarato incompetente e ha disposto la trasmissione degli atti alla procura che ha coordinato le indagini, cioè Napoli. Quanto alla decisione di non convalidare il fermo per terrorismo internazionale di Serai e Larbi a incidere sarebbe stata anche la mancanza del pericolo di fuga, dovuta al fatto che la coppia resta comunque dietro le sbarre.
Il solco segnato dalle due decisioni opposte non si ritrova facilmente nel corposo «decreto di fermo di indiziato di delitto» (257 pagine). Le tre posizioni viaggiano in simultanea. La procura di Napoli parla espressamente di «una rete di cittadini algerini attestati su posizioni ideologiche oltranziste» fra le quali spiccano i tre arrestati, cui viene attribuita una «evidente e dimostrata adesione a un progetto di jihad globale e ai propositi criminosi manifestati nel corso delle conversazioni intercettate, oltre a un’ampia disponibilità di falsa documentazione da utilizzare per gli spostamenti nei vari Paesi europei ed extraeuropei». Di qui, il timore del pericolo di fuga, «che - annota la Procura - «garantirebbe ai predetti indagati di ideare azioni offensive nei confronti di obiettivi presenti sul territorio nazionale o anche in altri Paesi europei ed extraeuropei». A sostegno della richiesta di arresto si fa menzione della «conoscenza, seppur rudimentale, delle modalità di preparazione e confezionamento di esplosivi», della «disponibilità di materiali funzionali al compimento di azioni terroristiche» come dimostrato «dalla vicenda relativa alla bottiglietta di profumo» (che, secondo un’intercettazione, avrebbe dovuto contenere ben altro materiale); della «dichiarata adesione a un’ideologia particolarmente rigida e incentrata di una jihad internazionale». E ancora.

Della «propensione al martirio» sui campi di battaglia, dell’«azione di proselitismo in favore di gruppi armati» attivi in Algeria; del «modus operandi improntato alla massima cautela e circospezione» nonché del ricorrente ricorso «a modalità di linguaggio criptiche». Agivano tutti allo stesso modo, ma uno è un terrorista, gli altri due ancora non si sa.

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