Niente comunione a chi pratica e ostenta la propria omosessualità. Lo afferma il vescovo emerito di Pistoia, Simone Scatizzi, intervistato dal giornale online Pontifex, non nuovo a uscite sensazionali su questi come su altri temi (si ricorderà la polemica per le dichiarazioni del cardinale Barragán sul paradiso precluso ai gay, ma anche le più recenti esplosive dichiarazioni, poi parzialmente ridimensionate, del vescovo polacco Pieronek sulla Shoah). Monsignor Scatizzi ha dichiarato che «la pratica omosessuale e la ostentata e dichiarata omosessualità impediscono l’amministrazione della comunione, secondo quanto dice la Chiesa e nessuno sicuramente è in grado di contraddire questo precetto». Parole che hanno innescato un acceso dibattito sul web.
«L’omosessualità in quanto tale è un disordine – ha aggiunto il vescovo emerito di Pistoia – e su questo non c’è discussione. In ogni caso con gli omosessuali è necessario usare delicatezza e misericordia e alla fine il giudice ultimo è Dio, pertanto sulla terra nessuno è autorizzato ad emettere sentenze».
L’intervistatore ha quindi chiesto: «Come la mettiamo con coloro che ostentatamente proclamano la loro omosessualità e la praticano?». E Scatizzi ha risposto: «Qui le cose cambiano un tantino. Da pastore sono obbligato, sempre in linea generale, a rifiutare la comunione. Certo, se si presentano davanti a me non posso dire di no, non per buonismo... ma perché non so se queste persone si siano confessate, siano pentite o abbiano cambiato vita. Il principio generale – ha aggiunto il vescovo – è che la conclamata, ostentata e praticata omosessualità è un peccato che esclude dalla comunione».
Dichiarazioni subito rilanciate dalle agenzie, finite sui giornali online, presentate come un nuovo «attacco» contro i gay. In realtà, il vescovo si è limitato a sintetizzare l’insegnamento della Chiesa sull’argomento, secondo il quale non può accostarsi alla comunione chi sia in peccato mortale (e la pratica omosessuale non è certo l’unico dei peccati). Lo stesso sito Pontifex aveva intervistato di recente l’ex vescovo di Grosseto, monsignor Giacomo Babini, che aveva definito l’omosessualità una «pratica aberrante».
Monsignor Scatizzi, rispondendo a un’altra domanda, ha parlato dei divorziati, anche se dalla sintesi delle sue parole sembrerebbe che questi siano di per sé esclusi dalla comunione, come invece accade solo per i divorziati risposati o conviventi: «I divorziati non possono accedervi, ma non per una cattiveria della Chiesa. E mai devono sentirsi emarginati o esclusi dalla comunione con la Chiesa, ma esiste una oggettiva situazione incompatibile con il sacramento». Infine, il vescovo ha accennato alla convivenza delle coppie di fatto, definendola «peccaminosa e comunque un atto impuro», ma se i due «si pentono e cambiano vita, il discorso è diverso», perché «le porte del perdono si aprono con generosità a tutti coloro che si pentono cambiando realmente stile di vita. Ma occorre che questo cambiamento sia reale ed effettivo, sincero. Tutto questo non consente a nessuno di esprimere frettolosi e poco misericordiosi giudizi di condanna in quanto il solo legittimato a giudicare alla fine dei tempi è Dio».
Va detto che l’impossibilità di accostarsi alla comunione non significa e non ha mai significato essere fuori dalla Chiesa. Il Catechismo della Chiesa cattolica ricorda che si richiedono tre condizioni perché un peccato sia «mortale», e cioè che abbia «per oggetto una materia grave» e che, inoltre, sia commesso «con piena consapevolezza e deliberato consenso».
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