La vittima ha conquistato il carnefice. Non l’ha corrotto, però. Per questo verrà sacrificata. Non si salverà. Oscar Pistorius, il velocista sudafricano con le protesi - «la cosa più veloce senza gambe», il soprannome di dubbio gusto affibbiatogli -, ha saputo ieri i risultati dell’esame a cui si era sottoposto in novembre su richiesta della Iaaf, la Federazione internazionale dell’atletica. Due giorni a farsi analizzare e studiare, per capire se erano leciti e olimpici i sacrifici e le protesi che gli avevano permesso di correre come il vento nonostante lo sgambetto di madre natura. Già, Oscar aveva undici mesi quando per una grave malformazione i medici gli avevano amputato le gambe (era nato senza talloni).
Purtroppo, i due giorni di test hanno convinto e conquistato il suo carnefice in camice bianco, il professor Gert Peter Brueggermann, luminare della biomeccanica a capo della Scuola superiore dello sport di Colonia. Convinto perché le trenta pagine della sua relazione (costata 30mila euro) non lasciano speranze all’atleta sudafricano. Difficilmente parteciperà ai Giochi di Pechino: quelle protesi gli danno un vantaggio sugli atleti normodotati è il verdetto del luminare tedesco. Conquistato perché il professor Brueggermann ancora non si capacita di quanto sia stato collaborativo, onesto, trasparente questo ragazzo di 21 anni che ha stregato tutti coloro che amano lo sport e le favole. Per questo, dopo aver giustiziato le sue speranze olimpiche, il luminare ha detto: «Lo vedrei bene negli 800 metri: se Pistorius riuscisse a migliorare ancora la propria resistenza, potrebbe perfino battere il record del mondo. Per questo gli manderò molti consigli per crescere ancora nelle prestazioni».
Prima lo uccide, poi cerca di rianimarlo. Strano il dottore, ma va capito. Per due giorni ha avuto a che fare con un ragazzo dallo sguardo limpido e le sofferenze chiare. Oscar avrebbe avuto tutti i motivi per collaborare poco e nascondere molto. Invece ha fatto tutto quel che gli veniva chiesto dagli specialisti di Colonia: le mille corse lungo la pista indoor di 100 metri ad esempio; oppure il confronto con cinque atleti normodotati che avevano i suoi stessi personali. Avrebbe potuto fingere un poco mentre studiavano le sue capacità aerobiche e anaerobiche; avrebbe potuto alterare un filo la corsa, le pedalate; bastava poco per pirlare le venti telecamere mobili messe lungo il tracciato, o i sensori piantati nel tartan e collegati a quattro computer. Invece ha totalmente collaborato e l’ha fatto con grande impegno... «È stato incredibilmente cooperativo e disponibile, credo che il suo principale desiderio non sia partecipare alle Olimpiadi bensì diventare un atleta migliore e più veloce» l’ha lodato il professore carnefice. Da qui il suggerimento di cimentarsi negli 800.
Intanto, però, l’ha giustiziato: «Pistorius - ha scritto Brueggermann nel suo rapporto inviato alla Iaaf e anticipato dal giornale tedesco Die Welt - gode di un vantaggio rilevante rispetto agli atleti normodotati che abbiamo studiato insieme a lui, un vantaggio valutabile intorno al 2 per cento. Un dato che non ci aspettavamo emergesse in modo così chiaro». E ancora: «La sua resistenza aerobica si è rivelata peggiore e quella anaerobica identica ai cinque atleti studiati. Vuol dire che Pistorius poteva essere allenato meglio; ovvero: i tempi simili ai cinque atleti erano anche frutto delle protesi». Non solo. La lunghezza dei suoi passi (2,26 metri) e il contatto con il terreno (110 millisecondi) sono stati praticamente identici a quelli dei cinque sprinter. «Però abbiamo rilevato - aggiunge il professore - che le protesi usate restituiscono il 90 per cento dell’energia prodotta sul terreno; mentre il piede umano ridà solo il 60 per cento dell’energia d’impatto».
E come ha commentato le anticipazioni la federazione dell’atletica, la Iaaf, che proprio per il giovane sudafricano aveva in fretta e furia aggiunto, alla 244ª delle sue 260 norme antidoping, un paio di codicilli che puntualizzano il doping tecnico (da qui l’esame a cui è stato sottoposto Pistorius)? «Avremmo potuto cavarcerla più semplicemente - ha sottolineato Nick Davies, portavoce Iaaf - facendolo partecipare a Pechino.
Ci sarebbe così stata una storia bellissima da vedere e raccontare e tutti ci avrebbero apprezzato. In questo modo, però, avremmo avuto a che fare con un precedente dalle conseguenze inimmaginabili». Meglio, dunque, giustiziare la poesia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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