«Pizzetta bianca? Costa sei euro E per una minerale ce ne vogliono tre»

Quando lo scontrino fiscale diventa un optional e viene rilasciato solo su richiesta

Ricordate i servizi giornalistici che denunciavano i comportamenti dei baristi della zona Prati, a Roma, che durante i funerali di Giovanni Paolo II avevano raddoppiato il prezzo delle bottigliette d’acqua da mezzo litro? Si è gridato allo scandalo, ma non è una cosa che succede «ogni morte di Papa». A Roma si ruba sempre e due euro sono poca cosa rispetto ai 3 euro della stessa bottiglietta da mezzo litro, in un giorno qualunque a piazza S. Maria Maggiore. Be’, uno potrebbe dire «almeno ho mangiato all’aperto, guardando una delle basiliche più belle del mondo». Invece no. All’interno del bar, in un tavolino addossato al muro e vicino alla cucina e al bagno, con un costante andirivieni di gente. Ma in fondo, per un romano qualsiasi, che lavora a via Cavour da dieci anni, non è proprio necessario un tavolino esterno.
Insomma per farla breve, in pausa pranzo di un giorno qualunque, con il Papa per fortuna in ottima salute, una pizzetta bianca finisce per costare 6 euro invece dei 2 euro di media di altri bar della zona ed una caprese (quattro fette di pomodoro, quattro fette di mozzarella ed una foglia di basilico) ben 10 euro. Ma allora sarà l’eccezionale servizio ad aver fatto levitare i prezzi? Provare per credere. Un paio di camerieri - peraltro di una certa età e non proprio rapidi come il pelide Achille - indaffarati a servire un esagerato numero di clienti e con i quali non si riesce a parlare se non di sfuggita. Al punto che su due ordinazioni una viene sbagliata e si è obbligati ad andare a prendersi il caffè al bancone, perché nessuno si degna di portarlo al tavolo dopo che si è ordinato.
Alla cassa la sorpresa: «Pago una pizzetta, una caprese e un caffè». «Non può pagare alla cassa, se era al tavolo faccia fare il conto al cameriere...». Attendo il cameriere - e anche il caffè - al bancone. Arriva il cameriere - del caffè ancora neanche l’ombra -: «Pago una pizzetta, una caprese e un caffè». E lui, dopo una breve pausa di riflessione: «Sono 19 euro. Questi li paga a me. Il caffè invece, che lo ha preso al bancone, lo paga a parte alla cassa». Non credevo alle mie orecchie, ma non sono abituato a lamentarmi e a fare scenate. Metto 20 euro in mano al cameriere che torna e candido mi molla in mano un euro. Dalla faccia direi che si aspettava anche la mancia. Ma la moneta non è accompagnata da nessun foglietto e per quella cifra penso di poter fare il pignolo: «Scusi, ma lo scontrino?» chiedo. «Ah, le serve lo scontrino? (come se fosse cosa strana) Ora glielo porto».
Mi arriva uno scontrino con scritto semplicemente «bar 19 euro» senza alcuna indicazione dei prodotti acquistati. A quel punto non resta che fare il sapientino rompiscatole: «No, per cortesia, voglio uno scontrino con indicato quello che ho preso e magari il prezzo accanto». La giovane cassiera - che a quel punto ha smesso di sorridere e ha un aria di sfida - dice: «E che problema c’è ?». Le dita che battono sul moderno schermo della cassa ed ecco che finalmente spunta lo scontrino con le singole voci e - che Dio li benedica - il relativo prezzo.
Sono talmente orgoglioso dello scontrino, che ve lo invio in allegato. Sono talmente schifato di certi esercenti romani, che lascio a chi li rappresenta qualsiasi riflessione.

Sono talmente arrabbiato che chiedo alla Guardia di finanza di farsi un giretto da quelle parti (ma non in divisa, sennò è troppo facile). Sono talmente imbarazzato nei confronti dei turisti che vorrei che questo piccolo contributo trovasse spazio su giornali, tv, radio e ovunque, per chiedere pubblicamente scusa ai turisti a nome degli italiani onesti.

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