«Dovete essere indifferenti alle conseguenze delle vostre decisioni. Che siate davanti ad un lavavetri extracomunitario, a un politico, o a un capo religioso, dovete farvi una sola domanda: se ci sono le prove per condannare. E in questo caso le prove ci sono». La condanna che con queste parole il pm Elio Ramondini chiede ieri pomeriggio ai giurati della Corte dassise è di quelle destinate a lasciare il segno nei rapporti tra giustizia e il mondo del radicalismo islamico: quattro anni e nove mesi di carcere per limam Abu Imad, potente e indiscussop capo della mosche milanese di viale Jenner. Per anni Abu Imad ha cercato di accreditarsi come uomo di dialogo, come un predicatore capace di tenere a bada gli spiriti bellicosi di una parte dei suoi fedeli. E invece no, dice Ramondini: per la prima parte del suo mandato, Abu Imad è stato un uomo chiave del terrorismo islamico.
Ha pagato laffitto del covo di via Contye Rosso, ha accolto in moschea i reduci dei campi daddestramento afgani, ha reclutato volontari per la jihad, ha raccolto fondi per la guerra santa anche attingendoli dal traffico di droga- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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