«Poca storia dell’arte e troppa televisione Così si è perso il gusto»

N elle prime pagine di «Arte e comunicazione» (Electa) è riprodotta la copertina di una delle dispense originali del professor Gillo Dorfles raccolte appunto in questo volumetto: emana un senso di preziosità che con il tempo soltanto le idee di un grande maestro acquistano. Oggi quel maestro ha 99 anni appena compiuti e incontrarlo nella sua bella casa di Milano dà la stessa emozione che guardare quella copertina: trovarsi vis à vis con un supremo indagatore del gusto e dei suoi Movimenti, che non ha mai smesso di compilare il suo taccuino critico nemmeno di fronte a quello che ha chiamato «Horror Pleni»: il troppo rumore creato dai media invasivi, che sovrastano la fruizione e la comprensione dell'opera d'arte.
Il grande pianoforte a coda carico di libri ci protegge dalla luce del primo pomeriggio: prendiamo posto su un divano rosso. Di fronte, intorno, innumerevoli volumi su architetti, designer, artisti, tra cui colpisce una monografia su Frank Lloyd Wright, chissà perché in lingua russa. Sarà un altro dei sentieri inesplorati che Dorfles sta percorrendo: l'occhio vivo, il profilo d'aquila, il gesto scandito in un corpo minuto, che muove e veste con stile e taglio d'anni Trenta di un Novecento cui proprio lui conferisce nuovo smalto.
Sta scrivendo, professore?
«Io scrivo sempre».
Glielo chiedo perché è appena uscito un suo libro...
«Ma quello non è un libro. I miei allievi di allora hanno riscoperto quel corso, se ne sono invaghiti e mi hanno chiesto il permesso di ristamparlo. E io l'ho concesso».
Il rapporto tra arte e comunicazione oggi lo intende come allora?
«A causa dell'intervento massiccio dei mezzi di comunicazione, oggi la fruizione dell'arte è diventata una scampagnata tra mille opere diverse. Manca l'esperienza diretta, manca la volontà dell'individuo di accostarsi all'opera, manca l'insegnamento».
L'opera d'arte contemporanea poi richiede un passaggio in più: va "interpretata"...
«E questo provoca un ulteriore allontanamento. Chi non comprende Berio o Stockhausen al primo ascolto, abbandona. E quell'apparente indifferenza temporanea viene scambiata per ignoranza permanente».
La colpa di questo vuoto tra arte e fruitori di chi è?
«C'è da chiederlo? Di quelle orribili trasmissioni televisive».
Ma non sono quelle che la gente vuole?
«La gente le vuole perché non conosce altro».
Ma l'uomo non cerca istintivamente la bellezza?
«Bellezza è una parola priva di senso. Non è possibile stabilirne i confini. Troppo vago parlare di bellezza. E anche nella bruttezza ci sono opere d'arte».
Eppure proprio sulla bellezza oggi si polemizza in Italia. Ad esempio in architettura.
«In questo momento storico è una delle arti in miglior salute. Prenda Piano, prenda Botta, per fare due nomi».
Anche a Milano?
«Nel caso di Milano non è sull'architettura che si dovrebbe far polemica. Ma sulla mancanza di un piano urbanistico. E' l'urbanista che decide dove è preferibile costruire una torre o un grattacielo, dove va il verde e dove le residenze. A quel punto si può chiamare Zaha Hadid o Libeskind. Non prima. Finora l'unica cosa buona è il quartiere affidato a Piano. E la nuova fiera di Fuksas. Altrimenti, Salerno batte Milano».
In che senso?
«Nel senso che una piccola città come Salerno ha affidato il proprio piano a Oriol Bohigas, il più grande urbanista catalano. Dimostrando che anche al sud se l'amministrazione è intelligente, le cose funzionano».
Lei ha insegnato per molti anni. Le università non hanno un ruolo in queste scelte?
«Quel ruolo è scaduto. Non mancano ottimi elementi che sanno come costruire o ricostruire. Ma non vengono interpellati».
Cambierà qualcosa con l'Expo?
«Spero l'Expo aiuterà a comprendere che Milano non è più quella delle mura spagnole, ma arriva fino a Legnano, Vimercate. Mortara, Cantù e va considerata nel suo insieme, magari da un supersindaco. Ci vorrebbe un piano regolatore per questa nuova metropoli ambrosiana».
Sono i giorni del Salone del Mobile. Il design made in Italy ha ancora quel fascino di cui lei parla in tanti libri?
«Certamente. E Milano ne è ancora la capitale mondiale. E' uno tra i pochi privilegi che si vede confermare ogni anno».
Se uno dei giovani designer che girano per Milano in questi giorni le chiedesse un consiglio per sfondare, che risponderebbe?
«Leggere: i giovani, designer o architetti, mancano del tutto di cultura di base. Viaggiare. Studiare anche all'estero».


Quarant'anni dopo quel corso di estetica, a che cosa dedicherebbe una sua ipotetica lezione universitaria?
«Al gusto, di cui mi sono occupato per tutta la vita».
Nello specifico?
«All'assenza del gusto, matrice del mondo contemporaneo».

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