Pochi libri (letti), tantissime bugie. Ecco come orientarsi tra feste e incontri

Invidie, provincialismo, scuse furbe e pietose: una guida di sopravvivenza

Pochi libri (letti), tantissime bugie. Ecco come orientarsi tra feste e incontri
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Il Salone del libro di Torino è una manifestazione dove il pubblico paga un biglietto e fa due ore di coda per comprare libri non scontati e vedere incontri scontatissimi. È sede di amori stagionali tra giornalisti, scrittori e uffici stampa delle case editrici. Ecco una breve guida per orientarsi nei padiglioni e interpretare correttamente i dialoghi tra operatori del settore editoriale.

«A dopo»: col cavolo che ripasso.

«Ci vediamo in questi giorni»: spero di non incontrarti più.

«Vorrei venire al tuo incontro anche se sono tiratissimo»: non vengo neanche morto.

«C'eri alla festa di Gems/Rizzoli/Nave/Mondadori/Guanda?»: ovviamente non ti ho visto, non ti avranno neanche invitato, sei una nullità.

«Questo lo devi leggere»: non me lo recensisce nessuno.

«Il tuo è un libro letterario»: diversamente dai miei che sono capolavori e stop.

«Ero nella squadra di Lagioia»: eh, bei tempi, comunque non mi prendere per uno qualsiasi.

«Ci vediamo a Milano»: certo, come no.

«Che stress questo Salone»: sono pieno di impegni, data la mia posizione.

«Ho venduto il doppio dell'anno scorso»: due libri.

«Quest'anno non volevo venire»: ma mi pareva brutto farvi mancare la mia presenza.

«Ma te l'ho mandato il libro!»: non te l'ho mandato.

«Stimo molto l'autore di questo libro»: non so nemmeno chi sia e il libro non l'ho letto.

«Come dicono i santoni alla Saviano»: vorrei essere Roberto Saviano.

«Ti trovo bene»: come sei invecchiato.

«Ma si può fare la fila per Barbero?»: vorrei essere Barbero.

«È stato un piacere rivederti»: mamma mia come sei noioso.

«La Buchmesse è dieci volte più grande. Il Salone sembra una sagra della salsiccia»: sono un provinciale.

«Accidenti non ti ho incontrato»: per fortuna sono riuscito a evitarti.

«Ti chiamo per stasera»: pur di non chiamarti butterei il telefono nel Po.

«Devo vedere una persona»: vado a fare la interminabile fila per il gabinetto.

«Bellissimo progetto grafico»: il contenuto fa schifo.

«Scusa ho un appuntamento alle 13 e 30»: devo andare alla Lounge a mangiare a scrocco, non farmi perdere tempo che portano via la focaccia ligure.

«Ci vuole pluralismo»: io i fasci non li farei parlare ma se al governo c'è il centrodestra faccio il tollerante.

«Dobbiamo uscire e rientrare dal genere, e comunque rifondare una narrazione più inclusiva»: sono un analfabeta.

«Un prosecco»: è solo il primo non ti credere.

«C'è un Nobel, vieni?»: piuttosto preferirei avere la malaria.

«Ma ti regaliamo le orecchie di Topolino in cartone»: arrivo.

***

Ecco un vademecum per affrontare le presentazioni.

«Molto interessante»: non c'era nessuno.

«Sala piena»: non come alle tue dove è sempre vuota.

«Quindici persone»: è il tuo record.

«L'hotel non è male»: una stella lusso.

«Segue aperitivo»: allora arrivo all'ultimo minuto.

«Che simpatico l'autore»: non aveva niente di intelligente da dire.

«Che intelligenza l'autore»: mai visto un simile pallone gonfiato.

«Molti applausi»: perché finalmente si torna a casa.

«Dov'è il mio firmacopie?»: tesoro, non è previsto.

«L'affluenza è sempre un terno al lotto»: non ho mai visto più di cinque

persone a una presentazione ma è colpa della pioggia, dello sciopero dei mezzi, dell'ubicazione della sala, della insipienza degli organizzatori e poi non capisco perché tutti quanti hanno judo quando parlo delle mie opere.

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