Poesia E anche i suoi versi sanno di mistero

Pessoa è sempre Pessoa, anche quando... lo è ufficialmente. Lui che amava celarsi dietro svariati eteronimi, sui quali costruiva identità più o meno dettagliate (il cantore della natura Alberto Caeiro, l’ingegnere navale disilluso Álvaro de Campos, il medico Ricardo Reis - un «Orazio greco che scrive in portoghese» -, il filosofo neopagano António Mora e Bernardo Soares, il più «vero» fra tutti i «fittizi», al quale Pessoa attribuisce la redazione del Libro dell’inquietudine) ha comunque firmato con il proprio nome e il proprio cognome centinaia di poesie. Ora raccolte in Il mondo che non vedo per la cura di Piero Ceccucci (Bur, pagg. 1.000, euro 15): ben 618 testi presentati in ordine cronologico dal 1913 al 1935 che rappresentano la più vasta antologia poetica pessoana disponibile in Italia.
Esoterismo e avventure oniriche, senso del tragico e mal di vivere, patriottismo dell’anima e ironia s’intersecano in questi componimenti, dando vita a una foresta di sensazioni e suggestioni dalla quale emerge tutta la musicalità del (o dei... ) tormentato autore. «Un momento prima della fine - scrive José Saramago nella Postfazione del volume - chiese che gli dessero gli occhiali. “Dammi gli occhiali” furono le sue ultime e formali parole.

Finora nessuno ha mostrato interesse a sapere per che cosa li volesse \, ma potrebbe essere abbastanza plausibile che la sua intenzione fosse quella di guardarsi in uno specchio per sapere, infine, chi vi fosse lì. \ Questo Fernando Pessoa non riuscì mai a essere davvero sicuro di chi fosse, ma grazie al suo dubbio possiamo riuscire a sapere un po’ di più su chi siamo noi».

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