Sanremo 2023

"Testi mediocri e senza ispirazione Che noia..."

I brani sono miseri per struttura linguistica e sentimentale: un flusso logorroico di parole, come sui social e nei reality

"Testi mediocri e senza ispirazione Che noia..."

Devo dirlo con franchezza brutale: i testi dei giovani poeti che mi arrivano ogni giorno via mail o WhatsApp, per quanto possano apparire acerbi, sono migliori, per struttura linguistica e sentimentale, e per necessità di ispirazione, dei testi delle canzoni in gara al Festival di Sanremo. Li ho letti senza pregiudizi, cercando anzi di trovarci qualcosa di buono. Conto che la musica li riscatti dalla loro desolante mediocrità, in fondo è la musica, la più dionisiaca tra le arti, che vale in una canzone.

Speravo di trovarvi almeno le rime sparate a raffica dai rapper, che mi sono spesso piaciute e mi hanno divertito, quelle di Jovanotti, perfino quelle di Fedez prima maniera, figuratevi un po'. Qui divertimento zero e noia abissale. Leggo un flusso logorroico, solipsistico, narcisistico di parole, neppure provocatorie, a meno che non si voglia vedere provocazione nel testo di Rosa Chemical: la fluidità (oggi così di moda, ma la bisessualità è sempre esistita sin dai tempi del mito, di Ermafrodito) è nel personaggio, in come si atteggia e si propone.

L'equivoco spaventoso è che tutti, le ragazze soprattutto, credono che sia interessante esprimere quello che hanno dentro, senza bisogno di disciplina formale. Mi ha stupito per fragilità il testo di Madame, mi aspettavo chissà che dopo averla vista intervistata su ben due pagine di un supplemento letterario.

Dicono che le canzoni di Sanremo rispecchiano la società. I testi delle canzoni rispecchiano più che altro come si sia diffuso nella società, attraverso i social e i reality, un egotismo di massa e la devastante concezione grillina per cui chiunque può fare qualunque cosa senza tradizione, professionalità e competenza.

Tutti proni a magnificare Amadeus. Benissimo. Ma professionalmente è un dj, ragazzi, promosso direttore artistico sul campo. Magari a lui i testi sembrano importanti, ma non c'è nessuna oggettività nel suo giudizio, nessuna cultura linguistica lo suffraga.

Alla fine, tra tanti che hanno abolito il nome di battesimo e di famiglia per scegliere balbettanti, fumettistici, post umani pseudonimi, Sethu, Shari, Olly, Lazza, Lda, mi sono imbattuto in Leo Gassmann: nel testo della sua canzone, i primi otto versi sono due perfette quartine a rime alternate, di cui una persino preziosa, forse memoria di quando il nonno, il gigantesco Vittorio, recitava in teatro le strofe eloquenti dell'Adelchi di Manzoni.

Che tempi, quelli! Ma non stiamo a rimpiangerli: chiediamo piuttosto per i nostri tempi qualcosa di meglio e di più.

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