Per commentare lo scandalo del pane «buttato a Milano», 180 quintali che finiscono ogni sera nellimmondizia, si sono scomodati Claudio Magris, Ermanno Olmi, il presidente della Cei Bagnasco e il ministro Zaia. Citando una vecchia battuta di Nanni Moretti nel film «Sogni doro» del 1981, «cosa penserà un bracciante lucano,un pastore sardo, o una casalinga di Treviso?». Dunque è sicuramente più utile lopinione di un fornaio, un fornaio del sud, Armando Quaresimale, 50 anni di cui trentacinque passati nel suo panificio di Nusco, dove la provincia di Avellino è «un posto di pietre e nuvole». Quaresimale vende il pane in sacchetti di carta che portano pensieri e parole calde: «Signore, fammi dormire come una pietra e alzare come il pane. Firmato Tolstoi da Guerra e Pace».
Il pane di Quaresimale costa 1.60 euro al chilo, mentre a Milano oscilla quasi il doppio. «Eppure - fa notare il fornaretto degli Appennini - i costi della materia prima sono pressapoco gli stessi. Soltanto gli affitti sono più cari. Ma con questo perché mai dovrebbero rimetterci i consumatori?». Quaresimale smonta il presunto «scandalo del pane milanese»: «Se non ho capito male, facendo due conti, alla fine ogni milanese sciupa 400 grammi di pane al mese. È un dato irrisorio, quasi fisiologico. Si eliminano molto di più verdure, arance, e pomodori e con costi superiori, senza scandali. Piuttosto il vero dramma è un altro: il pane a Milano viene scartato perché alle 8 della sera non è più buono. Il mio pane, a quellora, è ancora fragrante perché viene preparato con metodi naturali. Anche a me avanzano 10 chili di pane al giorno ma riesco a venderlo lo stesso. Non ho mai lasciato cadere per terra una briciola per principio. Anzi qui il pane sbriciolato serve per cucinare le polpette, i peperoni ripieni o le cotolette alla milanese».
La storia di Armando Quaresimale, che ora sta per passare il testimone al figlio ventiseienne Mario diplomato al liceo classico, ricorda una foto famosa di Nino Migliori, realizzata negli anni 50 per la serie «Gente del Sud». Si chiama il «portatore di pane» e mostra un ragazzo di Matera con un asse di legno più grande di lui su cui svettano varie forma di pane. «Allora - ricorda Quaresimale - le donne impastavano il pane una volta alla settimana e poi lo cuocevano in un forno comune. Per distinguere le proprie forme ogni famiglia aveva un suo timbro. Ora in città il pane si compra in negozi che sembrano boutique e si chiede quello di Altamura perché fa chic ma poi lo si cestina perché diventa subito raffermo. Da noi le briciole vengono ancora raccolte alla fine del pasto e sparse sul davanzale della finestra a nutrire gli uccelli. Il pane è simbolo della vita dura, della condivisione, della solidarietà. Entrare in un panificio significa leggere la complessità della nostra società. Penso che lItalia sia divisa del sapore e dal costo del pane».
Ma che cosa porta una persona a liberarsi del pane a Milano e a rispettarlo, invece, religiosamente altrove? «Come dice uno scrittore del posto, Franco Arminio, forse la montagna e il villaggio di poche anime sono cornici in cui più facilmente si può sentire la fragilità della nostra esistenza.
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