Al Policlinico c’è un carrello in «coma» da tre anni

Serve ai medici per il giro delle visite: è senza una ruota ma nessuno lo sostituisce. Tra i corridoi si trovano anche sedie rotte e scatole dimenticate

L’Ospedale è il Maggiore, laddove, il comparativo potrebbe illudere. Chissà che cosa possa essere mai il Minore? Domanda giusta e giustificata perchè l’attuale (datata, molto datata) fotografia del Policlinico di Milano consegna immagini che vanno definite grottesche, tra il drammatico e il ridicolo. Nel padiglione di via Pace vi segnalo la presenza di un carrello a tre gambe. È il portadocumenti, analisi, faldoni che i medici trasportano e consultano di stanza in stanza per rileggere e controllare la situazione dei pazienti. Da anni tre, in cifra 3, il carrello ha perso una ruota, sì una ruota, ma resiste, sbanda, traballa, fa scivolare carte e penne, sfiora i piedi degli astanti ma non riesce a guarire: «Abbiamo chiamato il tecnico ci ha detto che non può fare nulla, questa storia va avanti da tre anni» mi ha confessato, mormorando, un medico che chiede l’anonimato, per evitare di perdere pure lui un arto. Devo ritenere che in tutta la struttura non esista un altro carrello, debbo supporre che le finanze del Policlinico non possano sopportare l’acquisto di un nuovo attrezzo alla bisogna. Eppure, consultando il sito internet dell’Ospedale, si può scoprire che potrebbero esserci varie ed interessanti soluzioni al problema. Partendo dal presidente (Tognoli Carlo, chi si rivede), ci sono otto membri del cda, una segretaria, quindi trentuno, in cifra 31, uffici, servizi, varie ed eventuali, si va dalle relazioni esterne a quelle con il pubblico, dalla valutazione del miglioramento continuo della qualità (!) all’ufficio libera professione, dal servizio infermieristico a quello cartelle cliniche.

Trentuno, ribadisco, con tutti gli annessi e connessi, impiegati, dipendenti, consulenti, collaboratori, badanti. Non bastano, la quarta ruota (giacente, alla memoria, in uno stanzino) non ha futuro, il carrello prosegue la sua marcia insicura (...)

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