La politica due pesi e due misure: stavolta la sinistra non si indigna

Non sembra indignare nessuno l’ultima ispezione voluta dal Guardasigilli Angelino Alfano, che vuol mandare gli 007 a Milano per l’intervista concessa al Giornale dall’aggiunto Pietro Forno sulla pedofilia. Unici politici a manifestare contrarietà sono stati i portavoce di Idv e Rifondazione, Leoluca Orlando e Paolo Ferrero. Insomma, non tutte le iniziative ispettive di via Arenula sollevano lo stesso vespaio. E scatenano uguali alzate di scudi, soprattutto da parte del centrosinistra.
La storia recente è infatti piena di scontri e feroci polemiche tra magistratura e istituzioni, e tra opposti schieramenti, innescate rigorosamente a margine dell’invio da Roma di ispettori nelle procure di mezza Italia. Un fenomeno che comincia mentre tramonta la prima Repubblica. In piena era Mani Pulite, furono prima Alfredo Biondi (nel primo governo Berlusconi) nel ’94 e poi Filippo Mancuso (quando premier era Dini) nel ’95 a spedire gli 007 del ministero della Giustizia alla procura di Milano. Il mandato prevedeva accertamenti sul pool, e prima ancora che gli ispettori, guidati da Ugo Dinacci, arrivassero nel capoluogo Lombardo, l’allora capo del pool Borrelli scrisse una missiva polemica a Scalfaro, l’Anm contestò la scelta, e l’opposizione fece subito sentire i suoi strali. Fu un’interrogazione parlamentare diretta allo stesso Biondi dall’allora capogruppo dei «Progressisti», Luigi Berlinguer, a rimarcare il timore di voler condizionare le toghe milanesi, all’epoca mediaticamente sovraesposte. E Luciano Violante, da vicepresidente della Camera, criticò la scelta di inviare gli ispettori e parlò di «domande indiscrete» poste dagli 007 alla procura lombarda e a quella di Palermo. Insomma, clima al vetriolo, replicato pochi mesi dopo quando fu Mancuso a «rimettere ordine» nella squadra degli ispettori scossa dalle polemiche e a rispedirla a Milano, annunciando che i magistrati di Mani Pulite avrebbero «intimidito» gli ispettori di Biondi. La crisi divenne istituzionale, con lo scontro frontale tra il capo dello Stato Scalfaro e il Guardasigilli. La maggioranza, centrosinistra più Lega, sfiduciò «ad personam» Mancuso, che fu «affondato» in Senato a ottobre del ’95.
In tempi più recenti, è bastato solo paventare l’invio di ispettori dal ministero di via Arenula per accendere veleni. Nel maggio del 2002, dopo l’arresto di alcuni poliziotti napoletani da parte della procura partenopea, per presunte violenze avvenute contro i manifestanti in occasione del G7, Roberto Castelli annunciò di voler mandare gli 007 guidati da Arcibaldo Miller sotto il Vesuvio. Oliviero Diliberto, che era stato Guardasigilli tre anni prima, parlò senza mezzi termini di «indecenza». E ancora, nel luglio dell’anno successivo, quando sempre Castelli stabilì che gli ispettori sarebbero dovuti tornare a bussare alle porte della procura di Milano, fu la responsabile giustizia dei Ds, Anna Finocchiaro, a bollare quell’attività come «illegittima» e a ipotizzare un «mandato politico».
Per tornare però ai livelli di temperatura più alti raggiunti all’epoca di Mani Pulite toccherà aspettare l’invio degli ispettori a Catanzaro. Doppia visita, nel 2005 e nel 2007, con corollario - la seconda volta - di nuovo scontro istituzionale tra il pm Luigi De Magistris e l’allora Guardasigilli Clemente Mastella. L’inchiesta Why Not, infatti, era in pieno svolgimento. E vedeva indagati sia lo stesso Mastella che l’allora premier Romano Prodi. Più recentemente, c’è l’ispezione ordinata da Angelino Alfano a Bari, su esposto di Raffaele Fitto contro l’ex aggiunto Dinapoli, il cui contorno vide finire indagati (e archiviati) proprio i due ministri, per sospetti sul mancato via libera al trasferimento dello stesso Dinapoli a Brindisi. Infine, Trani.

La scelta di spedire in Puglia gli 007 per l’inchiesta Rai-Agcom è stata preceduta, e accompagnata, da un coro di critiche. Non sopite nemmeno quando la stessa procura ha poi spedito gli atti a Roma, riconoscendone la competenza.

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